Se immaginavamo, dopo i trambusti e le opportunità creati dalla quella che possiamo chiamare la terza rivoluzione industriale, quella di internet prima e poi dell’avvento del digitale e del commercio elettronico poi, di poter finalmente provare a porre delle prime regole fondamentali al suo operare e al suo sviluppo, con il Ttip possiamo direttamente fermare l’immaginazione e andare a vivere ai «confini del mondo» senza collegamenti digitali.

Oggi si iniziano a conoscere i dettagli degli intendimenti europei e statunitensi anche su nuovi capitoli del Ttip, come quello, ad esempio dei digital right, dei diritti digitali.
Solo io provo terrore ogni qual volta mi si apre un’icona sul cellulare che mi rimanda a servizi a me sconosciuti e spesso costosi? O quando mi stupisco del fatto che la mia pagina del mio quotidiano on line preferito contiene una pubblicità che non vedo sul pc del collega di stanza? Una pubblicità solo per me. Non riesco ad esserne contento. Si vendono di continuo i miei dati, senza neanche pagarmeli. Che terrore, la forza della realtà.

E, visto che non sono il solo a sentire la necessità di essere tutelato nella mia dignità di persona e di non essere trattato come un mero homo oeconomicus, da più parti, della società civile, si è iniziato, da anni, ad alzare la voce. Ci è stato risposto che in poco tempo, tutto sarebbe stato legiferato a dovere a livello europeo. Si trattava solo di pazientare. Del resto si sa, il mercato va più veloce del vento, e le norme, seguono a rilento.

E proprio quando l’Europa, si sta dirigendo a legiferare sulle telecomunicazioni web e su tutte le sue nuove applicazioni digitali rispetto al commercio elettronico o rispetto alla privacy e a tutto il tema del trattamento/compravendita dei dati personali, il Ttip cerca di riprendersi la possibilità di stoppare o influenzare negativamente il processo di regolamentazione. Tutto si complica perché l’Europa non è pronta. Non è pronta legislativamente e non è pronta a competere in questo settore.
Se davvero, come il presidente degli Usa desidererebbe l’Europa decidesse di chiudere il trattato, magari cedendo sul capitolo agricolo, sembrerebbe l’inizio di una nuova era, in cui, almeno in questo settore, l’Europa non avrebbe in mano il timone e dovrebbe correre, per dimostrare di essere sufficientemente «zerbino» delle nuove cooporation, che si chiamino Google, Amazone, Facebook, Microsoft o quello che sorgerà domani.

Correre perché non abbiamo ancora un’esperienza regolamentare. Non abbiamo neanche ancora finito di leccarci le ferite per il danno fiscale e concorrenziale subito dalla globalizzazione digitale rispettivamente dagli stati membri e dalle aziende europee. Ad oggi, abbiamo, normative di singoli stati membri, autorità di controllo dei singoli stati membri ma non abbiamo ancora un mercato unico europeo dei prodotti e dei servizi digitali così come non abbiamo ancora un regolatore europeo indipendente che possa intervenire a trecentosessanta gradi.

In un battibaleno, per assicurare che non esistano politiche e regolamentazioni che possano in qualche modo recare nocumento alla massima concorrenza e alla massima deregolamentazione e profitto del mercato dei servizi di digitali, verranno quindi individuate due autorità, una statunitense e una europea che avranno come specifico scopo quello non di sviluppare un libero, concorrenziale e rispettoso sistema di comunicazioni, ma di obbedire, e celermente, alle richieste delle grandi aziende. Se Google o Amazon ritenessero di venir lesi nei profitti da leggi nazionali o europee mirate alla protezione della privacy o alla limitazione dell’utilizzo dei dati a fini commerciali potrebbero facilmente ottenere la disapplicazione delle leggi «ostili» da parte delle stesse autority.

Perché il punto di tutela non è la privacy ma che non ci siano restrizioni nei commerci dei servizi. Quali servizi non si dice. Ma visto che il servizio più redditizio del momento è quello di vendere dati personali di milioni di utenti che mixati con altri dati permettono profilature commerciali di alto livello e efficacia, sembra strano che giunti a tre anni di lavori serrati di negoziazione non vi sia traccia del lasciare alla Corte di Giustizia Ue di dire se una legge lede o non lede non i profitti di una corporation ma i diritti fondamentali delle persone, quali, ad esempio, non essere trattati come meri numeri, portafogli che camminano.
Segretario Generale Movimento Consumatori