Giornata intensa ieri su molteplici fronti per la nascitura America totalitaria di Donald Trump. A Washington sono iniziati i lavori del Cpac, congresso e summit ideologico della lobby conservatrice che ha ribadito la sterzata reazionaria in tutte le sue distruttive componenti. Contemporaneamente si sono allargate, concentriche, nelle comunità etniche ed immigrate le ripercussioni dell’ordine di deportazione firmato martedì dal capo del Home Security John Kelly. In numerose città si sono verificate proteste contro le espulsioni proprio mentre, con infelice tempismo, Rex Tillerson e lo stesso Kelly hanno iniziato la missione in Messico, il vicino dileggiato come utile capro espiatorio da Trump nella sua campagna di xenophobia populista.

L’EDITTO diramato martedì autorizza gli agenti di immigrazione a deportare chiunque si trovi illegalmente nel paese da meno di due anni, detenga un permesso di lavoro contraffatto o tenti di introdurre illegalmente minorenni. Il decreto  ha seminato il prevedibile panico dato che interessa direttamente milioni di persone che fanno parte della delocalizzazione interna, quella forza lavoro precaria da cui dipende l’economia, specie in settori come edilizia, servizi ed agricoltura.

LA PSICOSI è particolarmente acuta nelle comunità a maggioranza ispanica. In California le radio in lingua spagnola trasmettono i consigli di legali specializzati che invitano gli ascoltatori a «non aprire la porta» ad agenti dell’immigrazione. A Los Angeles, come in altre città, le forze dell’ordine assicurano i cittadini che non  intendono collaborare attivamente con le agenzie di immigrazione che il governo Trump intende potenziare col reclutamento di 15000 nuovi agenti.  Una dissociazione a cui aderiscono le diocesi ed i vescovi americani. Un portavoce della Catholic Legal Immigration Network ha definito le muove misure «una ricotta per il disastro»  atta ad alimentare «un’isteria di massa». Non è  solo la  chiesa cattolica  ad opporsi. Ad oggi sono oltre 700 le diocesi e parrocchie ad aver firmato un «impegno di santuario» per proteggere persone  a rischio, se necessario offrendo rifugio  ad immigrati come  Jeanette Vizguerra, madre di quattro figli, negli Usa da otto anni, oggetto  di una procedura di deportazione che da una settimana risiede nella First Unitarian Church a Denver.

TRUMP ha ribadito ieri che il giro di vite sta dando i frutti sperati con l’espulsione di molti «bad hombres» l’eufemismo da spaghetti western che ama utilizzare per descrivere gli immigrati. Le retate vanno invece assai meno per il sottile. Lo dimostra il caso di Sara X, una donna salvadoregna di 26 anni ospite di un centro di detenzioni per stranieri del Texas che era stata trasferita  in un ospedale di Fort Worth in seguito a un malore. I medici hanno riscontrato un tumore e predisposto un intervento d’urgenza. Martedì però gli agenti dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement) hanno  ammanettato la da donna riportandola nel Cie di Prairieland.

SU QUESTO SFONDO sono cominciati gli incontri ufficiali di Tillerson e Kelly a Città del Messico con esponenti di un governo ancora più indignato dagli ultimi sviluppi a nord del confine. Il ministro degli esteri Luis Videgaray ha espresso forte preoccupazione per le azioni intraprese da Washington, specialmente l’intenzione di rispedire in Messico anche immigrati provenienti da altri paesi. «Voglio precisare senza mezzi termini – ha detto – che il Messico non è tenuto a sottostare a misure unilaterali imposte da governi stranieri».

LA MOTIVAZIONE ufficiale della visita è di «mettere  a punto i parametri di collaborazione bilaterale» su sicurezza, antiterrorismo e un commercio transnazionale che vale 1,5 miliardi di dollari al giorno. Ma qualunque iniziativa di Tillerson è destinata a venire oscurata dalle continue  provocazioni del suo presidente, in particolare la promessa di costruire il muro di confine e «farlo pagare al Messico». In quest’ottica, Trump ha chiesto a tutte le agenzie ministeriali di compilare gli aiuti «diretti o indiretti» che gli Usa forniscono al Messico per poterli eventualmente decurtare  come finanziamento della famigerata barriera. Altre ipotesi ventilate da Trump sono l’imposizione di dazi del 20% sui beni importati ed  il «sequestro» delle rimesse inviate dai lavoratori messicani espatriati in Usa. Iniziativa che inquadra bene lo spirito della guerra ai poveri emarginati e indifesi e di una guerra economica che avrebbe conseguenze disastrose per entrambi i paesi.