Dalle mosse unilaterali alle intimidazioni di stile mafioso. Cosa intenda per diplomazia Washington l’ha fatto capire l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, sempre più braccio armato dell’Amministrazione Trump. «Ci segneremo i nomi» degli Stati che voteranno, oggi, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro la decisione della Casa Bianca di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele, ha tuonato Haley in una lettera inviata agli altri Paesi membri. «Il presidente mi ha chiesto di riferire su quanti voteranno contro di noi», ha aggiunto l’ambasciatrice. Quindi è intervenuto Trump in persona per minacciare il taglio dei fondi Usa ai Paesi che voteranno a favore della risoluzione. «Prendete i nostri soldi e votate contro di noi, risparmieremo un sacco, lasciate che votino contro di noi», ha detto il tycoon cercando di intimorire gli Stati economicamente più deboli. Il prossimo passo saranno le aggressioni fisiche ai rappresentanti dei Paesi membri dell’Onu? Il ministro degli esteri palestinese Riyad al Malki ha denunciato con forza le intimidazioni americane e sollecitato l’Assemblea Generale a votare compatta a favore della risoluzione, di fatto la stessa che a inizio settimana è stata bloccata dal veto Usa al Consiglio di Sicurezza.

Israele ha adottato una linea più coperta rispetto a quella americana contro la risoluzione. Il giornalista Barak Ravid, sempre ben informato sui retroscena della diplomazia, scriveva ieri su twitter che il governo Netanyahu ha dato ordine alle le ambasciate israeliane nel mondo di fare il massimo per persuadere i vari governi a votare contro o almeno ad astenersi. L’obiettivo è quello di ottenere il voto contrario di un certo numero di Paesi, anche piccoli, per evitare che l’approvazione, scontata, della risoluzione contro la dichiarazione di Trump lasci Israele e Usa isolati. In attesa del voto, la Chiesa cattolica, per bocca dell’amministratore apostolico del Patriarcato latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, è tornata a ribadire la sua opposizione al riconoscimento unilaterale americano della città santa come capitale di Israele. Ieri nel tradizionale incontro con i giornalisti che precede il Natale, Pizzaballa ha spiegato che «Decisioni unilaterali» come quella di Trump «non porteranno la pace, ma anzi la allontaneranno…Gerusalemme – ha aggiunto – è un tesoro dell’intera umanità. Ogni rivendicazione esclusiva, sia essa politica o religiosa, è contraria alla logica propria della città». La massima autorità cattolica a Gerusalemme ha poi aggiunto che per i capi delle Chiese cristiane sarà difficile accettare una richiesta ufficiale da parte del vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, di visitare i siti cristiani sacri della città quando verrà a gennaio. «Non possiamo dire di no ai pellegrini, siamo religiosi, non possiamo dire di no a qualcuno, anche se è il più grande peccatore del mondo» ha affermato Pizzaballa. Ma, ha poi aggiunto, se Pence chiede una visita ufficiale, «a volte non possiamo trascurare le conseguenze politiche o gli aspetti politici».

Il mancato arrivo di Pence – che ha rinviato per due volte il suo viaggio in Medio Oriente – non ha portato a una diminuzione delle proteste palestinesi contro Trump come qualcuno aveva ipotizzato. Decine di palestinesi ieri sono rimasti feriti in scontri in varie città della Cisgiordania, in particolare a Qalqiliya. Cortei hanno attraversato le strade di Ramallah, Hebron, Betlemme, Nablus, Salfit, Tulkarem. Dimostrazoni anche a Gaza, nei pressi delle barriere con Israele. Intanto le forze armate israeliane hanno arrestato a Nabi Saleh anche Nour Naji Tamimi, cugina di Ahed Tamimi, detenuta assieme alla madre con l’accusa di aver “aggredito” due soldati prendendoli a schiaffi. I giudici militari israeliani ieri hanno prolungato la detenzione di Ahed Tamini di altri 10 giorni. La ragazzina rischia una condanna ad alcuni anni di prigione.