Cosa risponderà il governo italiano alla nuova chiamata alle armi che l’Amministrazione Trump proporrà il 25 maggio alla riunione Nato di Bruxelles cui è atteso il neo presidente Usa?

Se lo chiedono le organizzazioni della società civile italiana per le quali la guerra nel paese asiatico è sempre stata al centro del loro lavoro.

La Tavola della pace, reduce dal meeting che a Roma ha concluso tre anni di lavoro con le scuole italiane sul tema della guerra, ricorda che non è di bombe che il paese ha bisogno e che persino il papa, nel ricevere gli studenti il 6 maggio scorso, ha condannato l’ordigno da 11 tonnellate sganciato sul suolo afgano il 13 aprile da un raid americano.

La preoccupazione per il nuovo “surge” militare ventilato da Trump (più soldati, più bombardamenti), cui Londra e Copenaghen hanno già detto si, è condivisa anche da “Afgana”, associazione di sostegno alla società civile afgana, che puntualizza come l’Italia abbia in Afghanistan oltre mille soldati.

Le associazioni chiedono che ogni decisione sia presa in sede parlamentare e che Roma studi una nuova strategia che anziché aumentare la spesa militare indirizzi l’impegno italiano verso la cooperazione civile.