Trump presenterà un ricorso di emergenza alla Corte suprema nel giro di un giorno o due e si  dice sicuro di vincerlo. Ieri, nel corso della conferenza stampa con il premier giapponese Shinzo Abe in visita a Washington, ha inoltre annunciato nuove e immediate misure sul fronte sicurezza. Prime reazioni,  dopo che la Corte d’appello federale del IX distretto di San Francisco ha respinto il tentativo di ripristinare l’ordine esecutivo che impedisce i viaggi verso gli Stati uniti ai cittadini provenienti da sette nazioni a maggioranza musulmana.

Una decisione resa all’unanimità dai tre giudici e firmata per curiam, in modo forse straordinario, come fa notare il co-fondatore di Freedom of the Press, Trevor Trimm, per evitare  ripercussioni personali.

SECONDO I GIUDICI l’amministrazione non ha presentato «nessuna prova che qualcuna dalle sette nazioni, Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen, abbia commesso atti terroristici negli Stati Uniti». La sentenza ha anche respinto l’affermazione di Trump riguardo l’impossibilità da parte dei tribunali di rivedere le valutazioni del presidente in tema di sicurezza nazionale. I giudici hanno sottolineato il loro ruolo cruciale in una democrazia costituzionale.

In pratica la corte d’appello di San Francisco non solo ha ribadito il giudizio del giudice distrettuale, James L. Robart, che aveva bloccato l’ordine esecutivo di Trump, ma ha sconfessato la richiesta del presidente di agire in assoluta libertà e indipendenza nel campo della sicurezza nazionale.

SECONDO L’AMMINISTRAZIONE Trump «le questioni di sicurezza nazionale non possono essere sottoposte a revisione, anche se quelle azioni contravvengono potenzialmente a diritti e protezioni costituzionali». Se ciò fosse stato ammesso e sottoscritto avrebbe aperto le porte a un’eventuale virata autoritaria legale in caso di minaccia di attacco terroristico, ad esempio, con la sospensione di ogni garanzia costituzionale. Ma la corte di San Francisco ha opposto un muro.

«È fuori discussione – si legge nella sentenza – che i giudici abbiano l’autorità di considerare sfide costituzionali all’azione esecutiva». Detto altrimenti, nemmeno una minaccia impellente per la nazione può sospendere la costituzione.

LA REAZIONE DI TRUMP è stata immediata in un tweet tutto in maiuscolo: «Ci vediamo in Corte, la sicurezza della nostra nazione è in discussione!». Il tweet ha scatenato immediate reazioni, inclusa la Cnn, che facevano notare all’attuale presidente di esser appena stato in Corte e che proprio una Corte gli aveva appena dato torto.

«3 -0» ha twittato la sua ex sfidante, Hillary Clinton.

Posto un freno all’allargamento senza condizioni dei poteri del presidente, ora si passa all’ultimo tentativo, la Corte suprema che però al momento è ristretta a otto membri in attesa che venga confermato Neil Gorsuch. E se quattro dei giudici sono di orientamento conservatore, gli altri quattro sono liberal, portando a un probabile pareggio che lascerebbe in vigore la sentenza delle corti inferiori. In questo caso l’ordine esecutivo di Trump avrebbe bisogno del voto di un giudice liberal per passare.

NEI GIORNI PRECEDENTI Trump aveva ripetuto sempre su Twitter che in caso «dovesse accadere qualcosa» la colpa ricadrebbe sui giudici che stanno mettendo in pericolo il Paese, e su queste sue affermazioni si era espresso negativamente proprio lo stesso Gorsuch che aveva definito questi attacchi come «demoralizzanti e avvilenti», così come riferito dal senatore democratico Richard Blumenthal, affermazioni che Gorsuch avrebbe potuto smentire ma che invece il suo portavoce le ha di fatto confermate a stretto giro.

Intanto l’agenzia di rating Fitch afferma che «l’amministrazione Trump rappresenta un rischio per le condizioni economiche internazionali e ai fondamentali globali dei rating degli stati».

NELLA NOTTE PERÒ qualcosa è andata nel verso di Trump, con l’elezione a segretario della salute e servizi umani di Tom Price, che guiderà gli sforzi del presidente per smantellare l’Affordable Care Act. Price è il primo medico in questo ruolo dai tempi di Louis W. Sullivan nella squadra di Bush sr.

Ma per i repubblicani non è un momento facile, il gradimento cala nei sondaggi, stando a quanto pubblicato da Public Policy Polling, e durante le town hall repubblicane, incontri tra i rappresentanti eletti e la loro base, ci sono confronti molto vivaci: i politici devono spiegare a chi solo tre mesi fa li ha votati nomine come quella della miliardaria DeVos e il palese conflitto di interessi irrisolto del presidente.