Salvini vuole i «pieni poteri», Trump li ha reclamati fin dal primo giorno in cui è entrato alla Casa bianca. Apparentemente questi due politici con evidenti tratti di megalomania non sono minimamente preoccupati dei sospetti di collusione con la Russia che pesano su di loro e dei vari altri scandali che si portano dietro (i 49 milioni di Salvini piuttosto che gli incitamenti alla violenza di Trump). È quindi utile riflettere sui motivi per cui questi due leader sembrano indifferenti a rivelazioni che avrebbero stroncato la carriera di politici ben più qualificati di loro.

Partiamo da Trump, che incarna meglio di chiunque l’uomo di spettacolo capace di recitare un copione corrispondente alle esperienze e ai desideri dei suoi seguaci. La stampa, abituata ai politici tradizionali, sembra incapace di capire ciò che i suoi elettori volevano: non un uomo di governo ma un demolitore del sistema, un sistema a cui gran parte degli americani non credono più da tempo: l’anno scorso solo l’11% degli americani affermava di avere «molta fiducia» nel Congresso, contro il 74% che esprimeva la sua fiducia verso i militari.

La «demolizione» di Trump, fortunatamente, ha più le caratteristiche della performance che quelle della rivoluzione o del colpo di stato, quanto meno fino ad oggi.

I giornali americani criticano Trump per le sue bugie, i suoi conflitti d’interesse, per il rifiuto di pubblicare le sue dichiarazioni dei redditi, per il suo linguaggio violento e sessista, per la sua ossessione per il muro da costruire al confine con il Messico e le sue giravolte in politica estera.

In sostanza, gli rimproverano di non essere un politico tradizionale, esattamente ciò che costituisce la ragione del suo successo presso il 40% degli americani. Un successo minoritario, quindi, ma è abbastanza impressionante constatare che fin dall’insediamento, la percentuale di cittadini che approvano la sua politica è rimasta stabile, oscillando fra il 37% e il 43%.

Il 40% è anche l’obiettivo di Salvini, una percentuale che gli darebbe la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. Come Trump, Salvini si è specializzato nelle dichiarazioni menzognere o stravaganti, nelle gaffe istituzionali, nelle uscite da Capitan Fracassa: tutto questo però non lo danneggia perché i suoi sostenitori lo considerano uno spettacolo. Non si rimproverano agli attori gli inganni, i tradimenti, gli omicidi che avvengono in scena o sullo schermo, e comunque alle celebrità i fans perdonano tutto, anche di ballare l’inno di Mameli con le cubiste in spiaggia.

Gli elettori di Trump e di Salvini guardano ai loro leader da una prospettiva completamente diversa da quella adottata dai politici tradizionali: per loro la politica è una recita di cui non possono essere protagonisti ma di cui possono scegliere, di tanto in tanto, il primo attore. Per anni, l’Italia è stata in condizioni analoghe con Berlusconi: conflitti d’interesse, scandali sessuali e affermazioni bizzarre non scalfivano la sua popolarità.

La spiegazione è la stessa: il politico-performer ha il compito di esprimere i sentimenti, elementari e violenti, di chi si sente escluso, o non rispettato, dai politici tradizionali, dagli esperti, dalle detestate élite, mentre la concreta attuazione delle promesse elettorali è meno importante. Il politico-performer maneggia beni simbolici, non programmi credibili: il muro al confine con il Messico è un’immagine, non un programma. Così come lo è il Tav, un altro simbolo delle grandi opere che dovrebbero creare «migliaia di posti di lavoro» benché ovviamente non sia una infrastruttura realistica e necessaria. Trump e Salvini hanno un’altra cosa in comune: fanno leva sulle paure degli anziani. Sono i beniamini dei vecchietti rancorosi.

La violenza del loro linguaggio e i loro bersagli sono il frutto di diffidenze e paure radicate tra i pensionati timorosi del futuro. Il presidente americano riscuote il consenso del 58% dei maschi con più di 65 anni e il 37% di quelli con meno di 34 anni. Nel caso delle donne, lo scarto è ancora più vistoso: solo il 23% delle giovani donne approva il suo operato. La struttura demografica dell’Italia è nota: ci sono 173 anziani ogni 100 giovani, un italiano su quattro ha più di 65 anni.

Come Trump, Salvini recita perfettamente la parte che gli è stata assegnata dai suoi elettori: quella del leader macho che rimette i clandestini al loro posto, spazza via i fannulloni, tratta a muso duro con l’Ue e con i paesi come Francia e Germania che hanno «approfittato» della generosità dell’Italia nell’accogliere gli immigrati. Questo è ciò che lo rende intoccabile per i suoi seguaci, in particolare i machi e gli over 65. Quanto la sceneggiata possa continuare con successo, soprattutto in vista di turbolenze economiche, è naturalmente da vedere.