Ognuno, nel drammatico ballo in maschera in Ucraina, prova a indossare la maschera e il costume dell’occasione. Ma davvero con brutti risultati.

In primo luogo è smaccata la menzogna dell’avvenuta ”invasione russa” dell’Ucraina con cui molti giornaloni hanno addirittura aperto ieri le prime pagine. Non c’è nessuna invasione. A meno che non si voglia dare per buona la fandonia del governo autoproclamato a Kiev che ha annunciato venerdì sera: “Duemila paracadutisti sono entrati in Ucraina, è invasione”. Per il semplice fatto che la Russia non ha alcun bisogno di muovere duemila soldati – un po’ pochini per una invasione – giacché le forze militari della Russia sono stabilmente, per ora, all’interno del territorio ucraino dove, in Crimea, c’è la grande base della flotta del Mar Nero, con quasi 30mila uomini, tra cui migliaia di truppe scelte, più di 350 navi da guerra con portaerei, cacciabombardieri ed elicotteri d’assalto. Ecco perché è preoccupante l’autorizzazione data ieri dal Consiglio della Federazione russa a Putin ad utilizzare, “in difesa della popolazione russa”, le truppe di stanza a Sebastopoli. Quella base c’è per accordi internazionali intercorsi tra Kiev e Mosca, accettati fin qui dalla comunità internazionale. Per ora c’è solo una minacciosa promessa di guerra. Perché se l’Occidente, cioè la Nato, andasse fino in fondo con la scellerata strategia dell’allargamento a Est – con le forze armate ucraine già coinvolte in un pericoloso partenariato – per denunciare quegli accordi verso l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica, allora la situazione potrebbe davvero precipitare. Ricordando in questo modo lo scenario del 2008, quello della Georgia che, spinta in modo irresponsabile dalla Nato e da Washington ad attaccare per prima la separatista e filorussa Abkazia, venne ben presto abbandonata per ritrovarsi 500 carri armati in casa e una guerra devastante che è costata la leadership e la faccia al leader georgiano “filo europeo” Shahakashvili.

Poi c’è Yanukovitch, il presidente detronizzato dai rivoltosi di Kiev, che ricompare a Rostov in Russia e prova a rimettersi la maschera di capo dello stato, proclamando “Il presidente sono ancora io e ritornerò quando ci sarà sicurezza”. Una figura non più riproponibile, soprattutto alla luce della violenta repressione, della sua corruzione e delle sue ostentate ricchezze – l’imponente villa, l’amante e il figlio maldestro (che lo fanno assomigliare tanto ai satrapi nostrani). Ma alcune verità le dice perfino lui. Che deve valere, lo ripete anche Mosca, l’accordo del 20 febbraio che impegnò l’Europa, la Russia e gli Usa, che prevedeva una sua uscita di scena ma con una transizione ed elezioni concordate. Quell’accordo è saltato perché a Kiev si è andati ad un colpo di mano. Ad una prova di forza anche armata che ha visto al centro la destra estrema nazionalista, xenofoba, neonazista e antisemita.

Ora anche le organizzazioni neonaziste di Pravi Sector e Svoboda provano a mettersi la maschera. Mentre restano inascoltati gli appelli del Congresso mondiale ebraico che denuncia queste formazioni e chiede espressamente all’Unione europea e agli Stati uniti di non accreditarle come interlocutori. Fatto che invece sta incredibilmente accadendo, anche perché il nuovo governo autoproclamato – usiamo questo termine perché in Ucraina vivono 40milioni di persone e a Majdan ne abbiamo viste forse duecentomila – ha inserito nell’esecutivo ben tre ministri neonazisti. Intanto il nuovo governo del premier 39enne Arseny Yatsenyuk indossa il costume di “neofita e inesperto”, così inesperto da essere legato a filo doppio all’oligarca Timoshenko, e da avere occupato la carica di ministro degli esteri e presidente della Banca nazionale ucraina. Ora il presidente statunitense Obama dà il suo appoggio “totale” al nuovo governo ucraino. Ma ha capito bene chi appoggia? Non gli è bastata l’esperienza della Libia prima e della Siria poi, e qualcuno gli ha raccontato come è finita in Georgia?

Ma il costume carnevalesco più incredibile tra quelli indossati è quello dell’innocenza dell’Unione europea. Ricordiamo che la crisi è esplosa quando Yanukovitch – eletto nel 2010 con elezioni certificate come democratiche da Ue, Osce e Onu, e dopo il fallimento della Rivoluzione arancione – provò ad applicare la strategia per la quale gli elettori gli avevano dato il mandato, quella della “neutralità tra est e ovest”. Il presidente ucraino ora in fuga in Russia, di fronte al persistere della crisi economica precipitata anche lì nel 2009 con le banche del Paese per più della metà in mano al capitale finanziario occidentale, cercò di avvicinarsi strategicamente di più a Bruxelles; mettendo in chiaro che la rottura con l’unione doganale dei paesi della Comunità degli stati indipendenti, legata alla rinata Russia, avrebbe voluto dire perdere seccamente almeno 20 miliardi di euro insieme ai prezzi di favore del gas faticosamente contrattati. Che cosa ha risposto l’Ue di fronte a questa richiesta? Nulla, ha preso solo tempo. Né ha chiarito l’equivoco che l’eventuale trattato di associazione equivalesse ad una adesione tout court in pochi giorni. A questo invece hanno pericolosamente creduto e credono gli ucraini. Che non sanno a quanto pare dell’euroscetticismo dei paesi già dell’Unione per la cura dell’austerità che li massacra e ne mette in discussione sovranità e costituzioni. L’Europa reale è questa qui, senza progetto di sé né del suo allargamento, in crisi di credibilità e senso. L’unico allargamento “progettuale” sul tappeto è quello militare, di basi e scudi antimissile, della Nato. Un allargamento di guerra. Vera, non una carnevalata.

E poi c’è Putin che indossa la maschera di Putin. Ha appena gestito, con la mano di ferro che lo contraddistingue, i giochi di Sochi. Aspetta. Sicuro del fatto che lì, in Crimea, è in ballo non la leadership mondiale e neoimperiale della Russia ma l’immediata sicurezza dei suoi confini.

“Noi con chi stiamo?”, mi chiede un giovanissimo lettore. Con nessuna delle maschere della festa. Né con Putin e Yanukovitc, né con i leader dell’Unione europea e Obama, tanto meno con le macchine di guerra della Nato, e certo non con la destra neonazista che ha preso di forza la leadership della protesta e controlla Majdan, ma nemmeno stiamo con le milizie armate filorusse. Siamo contro ogni nazionalismo e contro la guerra. Stiamo con i non invitati alla festa macabra in corso, con i soggetti disperati, milioni di donne e uomini che in Ucraina da anni pagano la crisi sociale con la disoccupazione e l’emigrazione, e che da tempo sono sottoposti alla “cura” del Fondo monetario internazionale, da anni arrivato a Kiev con i suoi diktat e tagli, e che in questi giorni tenta di mascherarsi anche lui da “nuovo”. Siamo per una rivolta sociale, democratica e organizzata.

Concludendo, non invitata alla festa di carnevale c’è la sinistra alternativa, europeista ma contraria a questa Europa solo moneta, dei mercati e del neoliberismo. Una sinistra residua, che in questi giorni ha indossato troppo spesso il costume del silenzio, non dicendo praticamente nulla su quello che accade a Kiev, prodotto delle macerie d’Europa. Mentre è chiaro che, nel ritardo dei movimenti alternativi e dell’unificazione almeno elettorale, a sinistra, della Lista Tsipras, la destra estrema nazionalista rischia di prendere l’iniziativa della protesta in tutta Europa. E Majdan precipita sulle piazze antagoniste di Sintagma, Zuccotti Park, Gezi Park e Tuzla.