La commissione Bilancio della Camera chiede chiarezza, in mattinata sospende i lavori e chi potrebbe mai darle torto? L’iter della prima legge di bilancio gialloverde va oltre il surreale. La commissione discute a tappe forzate sul nulla, anzi peggio: su saldi che il governo stesso considera chiaramente provvisori. A confondere ulteriormente la già paradossale faccenda ci si mette anche l’ennesimo contrasto tra Lega e M5S. Il Carroccio insiste nel voler inserire nella manovra almeno quota 100, se non anche un reddito di cittadinanza ancora in alto mare, con un emendamento da portare al Senato. I pentastellati sono tornati a carezzare l’idea, già adottata e poi lasciata cadere, di procedere invece con due decreti gemelli in gennaio.

LA SITUAZIONE in commissione Bilancio sembra sbloccarsi con l’annuncio che il ministro Giovanni Tria verrà a spiegare la situazione in serata. Macché. Il ministro arriva puntuale, alle 19, ma fa sapere che si limiterà a una comunicazione, senza rispondere a domande. I deputati dell’opposizione s’impuntano, Tria si chiude e minaccia di andarsene. Dopo un’ora e mezza finalmente il ministro prende la parola e fa i salti mortali per non dire niente. Nessun motivo di incertezza. La manovra resta quella già presentata. Le priorità non si toccano. Certo si sta vedendo se le si può realizzare a minor costo e a quel punto servirà «una decisione politica» per capire che fare. Il punto interrogativo resta intatto.

Ma i saldi reali dovranno comunque arrivare presto: non perché lo chieda il Parlamento, del quale i partiti di governo si disinteressano esattamente come chi li ha preceduti, ma perché la trattativa con la Ue non può durare in eterno. Da Bruxelles Tria lo aveva detto senza perifrasi: «I tempi per evitare la procedura sono stretti». Tanto stretti quanto il lasso di tempo che corre tra la manifestazione leghista di sabato a piazza del Popolo, alla quale Matteo Salvini non può arrivare dopo una resa, pur se mascherata come certamente la propaganda leghista proverà a fare, e il consiglio europeo del 13-14 dicembre. Al massimo, ma solo se l’accordo fosse a quel punto questione di particolari, si potrà arrivare al 17, per anticipare di un soffio l’avvio della procedura d’infrazione e le «raccomandazioni» della commissione, il 19 del mese. L’aula della Camera, a cui la manovra arriverà con ulteriore ritardo stasera alle 20, dovrà quindi votare e approvare, venerdì con la fiducia, una legge di bilancio finta.

TANTO DAGLI SPALTI di Bruxelles quanto da quelli di Roma si continua a spargere ottimismo, da Salvini (che tuttavia insiste per quota 100 subito e non a giugno) al premier Conte, dal commissario Moscovici a Tria tutti vedono rosa. Ma l’accordo ancora non c’è ed è di nuovo Tria il più esplicito: «Le posizioni sono varie. E’ necessario prendere decisioni politiche». Sono decisioni difficili. Il presidente della commissione Ue Juncker, che a Bruxelles è la colomba per eccellenza, sarebbe disposto ad accontentarsi di una retromarcia sul deficit fino al 2%, inteso però come soglia da rispettare rigidamente. Ma tra i governi c’è chi, con l’Olanda in testa, preme per una posizione più dura: vorrebbe scendere all’1,7% e tutto senza contare che il «numerino» è davvero solo la punta visibile di un braccio di ferro che non riguarda solo la quantità ma anche la qualità della manovra. Ieri alla riunione Ecofin l’accordo sul bilancio europeo proposto in tandem da Emmanuel Macron e da Angela Merkel è stato congelato proprio perché c’è in sospeso il caso italiano, giudicato troppo a rischio. I falchi insistono per risolvere con le cattive l’anomalia italiana.

MA LA «DECISIONE POLITICA» a cui allude Tria è anche più difficile e dolorosa. Il ministro dell’Economia ha ripetuto da Bruxelles che il senso della manovra è soprattutto cercare di impedire la recessione. In ballo non c’è più un deficit caricatosi di significati politici. La situazione è cambiata e oggi più che mai Tria pensa che sarebbero necessarie misure anticicliche, investendo quel che si riesce a risparmiare dai fondi per reddito e quota 100. Lo scontro con Bruxelles impone invece il contrario, obbliga a misure recessive che rischiano di moltiplicare gli effetti della fase negativa. Le ragioni della propaganda e del braccio di ferro di bandiera, che in realtà hanno sempre lasciato freddo Tria, si sommano qui a considerazioni di ordine tecnico, che confliggono però con la necessità di evitare uno scontro all’ultimo sangue con l’Europa. La scelta della strada da imboccare per tirarsi fuori da questo labirinto è politica, e Tria lascia ai politici la responsabilità di decidere.