Se nell’ambito delle arti plastiche spetta al critico tedesco Franz Roh l’invenzione, nel 1925, del binomio realismo magico, nella letteratura si attribuisce a Alejo Carpentier l’avere fatto circolare per primo, a seguito di un folgorante viaggio ad Haiti nel 1943, la locuzione reale meraviglioso. Con questo potente ossimoro, l’autore cubano intendeva riferirsi a fatti e personaggi autenticamente americani e mettere in discussione l’intrinseca artificialità del modello europeo. Nella prefazione al suo romanzo Il regno di questo mondo, del 1949, sosteneva quanto fosse meravigliosa la consistenza del reale nelle Americhe: «Qui l’insolito è quotidiano, lo è sempre stato». Ma quanto dura?

La sua idea di romanzo
Il tempo – con le sue intense ripercussioni sul vivere umano – è una delle coordinate indispensabili per comprendere non solo Carpentier, ma gran parte della narrativa latinoamericana, da Borges a Cortázar a García Márquez. Il nuovo romanzo, secondo Carpentier, doveva essere sincronico, con azioni e piani paralleli, e mantenere l’individuo in costante relazione con quel mondo capace di concedere «ragion d’essere, vigore, linfa e i mezzi di espressione in tutti i campi della creazione, sia essa plastica, musicale o verbale».

Il narratore latinoamericano avrebbe dovuto infrangere le regole della temporalità tradizionale per inventarne di nuove che meglio si adattassero alla materia trattata. Secondo Carpentier era possibile, senza imitare lo stile dei suoi precursori, dilatare il presente in funzione della memoria (alla maniera di Proust), trattenere il tempo (come il Samuel Beckett di Aspettando Godot) o conciliare diverse epoche (come nell’Orlando di Virginia Woolf).

Guerra del tempo, ora edito da Sellerio (traduzione di Maria Nicola, pp. 144, euro 12,00) riunisce tre variazioni a dispetto della temporalità canonica, racconti che rivelano in ogni pagina scelte linguistiche apprezzabili anche nella traduzione, accorta di fronte all’equilibrio debordante di Carpentier.
«Simile a fosca notte» restituisce aneddoti su un giovane che è sul punto di imbarcarsi per la guerra, ma va verso scenari storici sempre diversi. Nelle ventiquattro ore che precedono ogni partenza trascorrono tre millenni: dalla guerra di Troia alla conquista dell’America, dalle crociate alla seconda guerra mondiale. Il tempo, sostiene lo stesso autore, ruota intorno all’uomo senza alterarlo: il protagonista è immutabile, mentre gira, come un sipario di fondo, l’epoca. È il tempo narrativo che si muove.

In «Il Cammino di Santiago» la struttura è circolare: il racconto, che «si chiude su sé stesso», riporta il lettore al punto di partenza. Carpentier vi ha voluto rappresentare la storia degli uomini che nel XVI secolo arrivarono in America, ispirandosi a una breve iscrizione che nell’Archivo de Indias riportava i dati del protagonista. La nuova terra sembra però poco promessa, riserva infatti «la vita più grama che si possa trascinare nel regno di questo mondo». Juan di Anversa, non immune da nostalgia e tristezza, subisce una metamorfosi che, tra Vecchio e Nuovo Mondo (Fiandre, Spagna, Cuba), lo porterà a essere altri Juan. Il tempo narrativo fa ritorno.

«Viaggio al seme» racconta le tappe della vita di don Marcial in un processo invertito, dalla morte fino al momento della gestazione nel ventre materno: «si cancellavano zampe di gallina, rughe e pappagorge, e le carni tornavano alla loro sodezza». La reversibilità si attiva in questo racconto grazie all’analessi e il tempo somiglia al glissare «del mazzo di carte sotto il pollice di un giocatore». Come nella Alice di Carroll, la deformazione accompagna la metamorfosi del protagonista: «i mobili crescevano. Si faceva più difficile appoggiare gli avambracci al tavolo della sala da pranzo».

Dal barocco creolo
In questa storia – tutta umida di fontane, piogge, sudori fino al «sale sgradevole» del battesimo – l’inversione non ferma il tempo reale: l’intera vita di Marcial viene ripercorsa nel giro di una notte, attraverso il ricordo di un vecchio negro che traghetta il lettore dentro quel mondo magico. Altro elemento imprescindibile nella composizione di questo racconto è il cosiddetto retrogado, un procedimento musicale che fa leggere il tema all’indietro, a partire dall’ultima nota (Carpentier fu un eccellente musicologo e mise al servizio della narrativa le proprie competenze: il racconto intitolato «El acoso», incluso nella prima edizione di Guerra del tiempo del 1958, fu composto secondo la struttura di una sonata). Scritto di getto, a detta dell’autore, «Viaggio al seme» risponde all’amore intenso nei confronti del barocco creolo della sua terra d’origine. Il tempo narrativo legge la musica.