Giuseppe Conte ieri si è presentato alla Camera per continuare il suo giro di incontri con i deputati del Movimento 5 Stelle, che proseguirà nella giornata di oggi. Gli eletti vengono auditi a piccoli gruppi, divisi per commissione, perché questa volta si tratta di ascoltare gli eletti, capire a cosa lavorano e mettere in fila i temi e i nodi politici da affrontare. Accanto a lui c’è sempre Rocco Casalino, che dal primo settembre prenderà formalmente servizio come consulente ai rapporti con la televisione dei gruppi parlamentari.

Conte si trova a perlustrare i palazzi proprio nei giorni della trattativa col governo sulla giustizia. Il che gli è doppiamente utile, visto il peso delle questioni sul tavolo, per prendere confidenza con la situazione interna e immergersi nella rete di relazione con le quali si trova a interagire.

Come ha fatto capire abbastanza esplicitamente, Conte non ha nessuna intenzione di rompere con la maggioranza. Non poteva fare a meno di dire che senza qualche modifica il M5S non avrebbe votato la riforma, anche se ha subito precisato che gli stessi Cartabia e Draghi hanno recepito la necessità di rivedere il testo. E continua a sottolineare il fatto che non è suo costume dare ultimatum. Beppe Grillo e Luigi Di Maio sorvegliano sulle collocazione del M5S nella maggioranza. E Roberto Fico solo qualche giorno fa alla cerimonia del Ventaglio ha mandato un messaggio preciso al nuovo leader, auspicando che il governo Draghi «possa andare avanti fino alla scadenza naturale del 2023, c’è un’agenda politica da seguire».

Questi paletti, vere e proprie precondizioni, rendono la trattativa che si svolge in queste ore un po’ paradossale: il nuovo leader ha ben presente che un pezzo del mondo grillino scalpita per tornare alle origini ma ha stretto un patto coi mediatori della sua ascesa al vertice dei 5 Stelle. Può alzare la voce ma non può rompere. Anche perché non conviene per primo a lui sfasciare il giocattolo del M5S appena conquistato. D’altro canto, ha bisogno di dimostrare (e anche questo ieri lo ha detto chiaramente) che il M5S ha fatto sentire la sua voce all’esecutivo grazie alla sua azione di portavoce delle esigenze della prima forza della maggioranza. Verranno persino tollerati alcuni dissidenti. L’altro giorno, ad esempio, il deputato tarantino Giovanni Vianello ha negato la fiducia al governo sul Dl Semplificazioni e il suo gesto è passato inosservato, nessuno ha detto nulla.

Nella prossima settimana, tra il 2 e il 3 agosto, si voterà il nuovo statuto sulla piattaforma. A quel punto la leadership di Conte verrà formalizzata e l’ex presidente del consiglio potrà scegliersi la sua segreteria. Il nome che pare sicuro è quello del viceministro allo sviluppo economico Alessandra Todde. A quel punto, in contemporanea all’inizio del semestre bianco, il nuovo leader comincerà la sua nuova avventura, appoggiandosi all’ala progressista del M5S per provare ad emendarsi dai governisti di Di Maio. Conte sa bene che lo sostengono in questa fase, perché è solo lui che può traghettare il M5S alla fine della legislatura, ma sospetta che lo vogliano cucinare a fuoco lento. Passate le colonne d’Ercole della giustizia, si scaldano i motori per il tagliando al reddito di cittadinanza, con l’obiettivo (sul quale Draghi avrebbe fornito garanzie) di accettare alcune modifiche sul piano delle politiche attive del lavoro ma di evitarne lo smantellamento. Ma non si vedono all’orizzonte altri temi divisivi.