Anna carissima, dice la voce fuori campo. Due parole adesso che stai per andare in scena, questo che ti consegno è quanto resta di un mio spettacolo fra i più amati. L’attrice, Anna Della Rosa, ascolta le parole che le rivolge un altro attore, un maestro della scena contemporanea, immobile sul margine del tappeto circolare che delimita lo spazio dell’azione scenica. Quando termina la lettera che le scrive Sandro Lombardi, supera l’invisibile confine e va a sedersi su una sorta di trono di legno che sta lì al centro. Buio. Incipit Erodiàs.

È qualcosa di abbastanza inedito per le nostre scene, a memoria, questo “progetto di Sandro Lombardi per Anna Della Rosa” come recita la locandina. La trasmissione di un sapere scenico da un attore che ha raggiunto un elevato livello di maestria a un altro più giovane. Richiama alla mente, piuttosto, la tradizione del teatro orientale incarnata da Zeami Motokiyo, massimo interprete e teorizzatore del teatro nō nel Giappone a cavallo fra tre e quattrocento. Hanno lavorato per diverse settimane l’uno a fianco dell’altra, Lombardi e Della Rosa, nel corso dell’estate scorsa. Per ritrovare l’intonazione di quel lontano lavoro, che appartiene certo alla memoria dell’interprete di allora ma non si è dissolto in quella di chi ne fu spettatore.

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Testori espressionismo e redenzioneLa ricordiamo bene quella sera d’estate, al teatro Rasi di Ravenna. E anche il suo dopo. Era il luglio 1998. Sandro Lombardi recitava gli ultimi Due lai di Giovanni Testori, Erodiàs e Mater strangosciàs, portando a compimento così la trilogia iniziata due anni prima con una sorprendente Cleopatràs. Tre lamenti funebri, tre figure femminili di fronte al mistero della morte che si incarna nel corpo dell’uomo che più hanno amato. Composti dallo scrittore lombardo sull’orlo della propria morte, durante l’ultima malattia. E attorno si dispiegavano intanto, in quegli anni, le perle di un’altra mirabile collana testoriana messa in scena da Federico Tiezzi, quella degli “scarozzanti”, di cui qualche eco trapela anche qui.

In realtà quello che si è visto a Modena, nello spazio ancora da vitalizzare del nuovo Teatro delle Passioni (nell’atrio è stato portato il grande manifesto con i volti degli attori di Des passions, l’ultimo spettacolo di Thierry Salmon, ma non basta), non è semplicemente il reenactment, per così dire, dell’interpretazione di Sandro Lombardi. Abito scuro di taglio maschile e camicia bianca, l’immagine che propone si sottrae a quella del primo interprete che sbucava col busto da una pedana di legno, come una Winnie beckettiana. Si siede su quel tronetto in sapore di oggetto d’arte, quello sì eredità del passato spettacolo come il festone di lampadine che si accendono a intermittenza alle sue spalle. Su cui però non riesce a stare ferma. Le mani tagliano l’aria, gli occhi gli spostano da un lato all’altro. Si rivolge alla testa tagliata del profeta Jokanàan, il Battista, che sta ai suoi piedi.

Dapprima balbettando, poi sempre più sfrontata nel suo raccontarsi. I frequenti stacchi di buio ritmano il pensiero. La testa naturalmente è di cartapesta, perché in nessun momento Testori permette di dimenticare che colui che vediamo è un attore che recita su una scena. Sicché resta il dubbio se tutti quei turbamenti erotici appartengano alla biblica Erodiade o alla pur indomita attrice che alla fine dovrà misurarsi col dubbio che “la vita l’è ’na ciavada” – intesa appunto, l’attrice, come il personaggio delegato da Testori a recitare la parte dell’Erodiàs. Perché quel che torna a sorprendere è l’incredibile ricchezza della lingua testoriana, le invenzioni linguistiche che contaminano la parlata lombarda. Lingua della carne, naturalmente.

Via la giacca, sciolti i lunghi capelli, a vista si compie la trasformazione nella Mater strangosciata, Maria di Nazareth. Parla a uno straccio insanguinato, come se fosse ancora avvolto in quel sudario, il suo Gesù. Ma non è più tempo di invettive, della comica violenza linguistica dell’altra. Ancor più che per l’Erodiàs, la memoria non è una terra riconquistata all’oblio ma luogo quotidiano, dove il dolore si è pacato e riempito di tenerezza. Hava nagila, rallegrati, canta il canto ebraico. E sugli applausi, come l’altra volta, parte la Bohemian rhapsody di Freddy Mercury. Ma questo è un segreto che rimanda ai giorni in cui Testori scriveva questi ultimi lamenti e come tale va consegnato a chi legge.