Tramonta un’epoca, il voto affonda Rajoy
L'analisi del voto spagnolo Il Pp perde la maggioranza assoluta. Partiti storici al collasso e vecchie leadership indebolite. Psoe al minimo storico ma decisivo
L'analisi del voto spagnolo Il Pp perde la maggioranza assoluta. Partiti storici al collasso e vecchie leadership indebolite. Psoe al minimo storico ma decisivo
È la fine di un’epoca. Il 72% degli spagnoli ha votato contro Mariano Rajoy. Il suo partito popolare con il 28% dei voti arriva sì primo, ma con quasi 4 milioni di voti in meno. Non solo: il nuovo partito della destra dalla faccia pulita e telegenica di Albert Rivera, Ciudadanos, ottiene meno del 14% dei voti. La somma dei loro 40 deputati con i 123 del Pp è molto lontana dai 176 necessaria per la maggioranza assoluta. L’opzione preferita dai poteri forti, e l’unica che avrebbe consentito in qualche modo al Pp di rimanere in sella sfuma. Il futuro di Rajoy è segnato.
Il Psoe, con il suo peggiore risultato nella storia del partito, è al 22% e ottiene 90 seggi. Ma ai piani alti del partito socialista temevano di peggio, e seppure di un soffio, ottengono la seconda posizione a livello nazionale. Politicamente hanno le chiavi del futuro governo, dato che quasi certamente il Pp dopo 4 anni di orecchie da mercante parlamentare verso le istanze di tutti gli altri partiti, non riuscirà a trovare alleati.
A un soffio, il 21%, arriva Podemos, il vero vincitore morale di queste elezioni, che ottiene complessivamente 69 seggi – sommando i 42 ottenuti dove correva da solo (contro Izquierda Unida) a quelli delle coalizioni di partiti di sinistra (in cui c’era anche IU): 12 in Catalogna, 9 a Valencia e 6 ottenuti dalle maree galiziane. Insieme i due partiti senza rappresentanza 4 anni fa, Podemos e Ciudadanos, ottengono più di un terzo dei voti. Izquierda Unida, con quasi un milione di voti (contando solo dove correva sola) è riuscita a strappare solo due seggi, risultato molto al di sotto delle sue aspettative.
Ma il rompicapo spagnolo è formato anche da piccoli partiti a livello nazionale, ma molto forti a livello locale, che la legge elettorale pompa molto: 9 seggi vanno al partito indipendentista catalano Esquerra Republicana, 8 alla nuova marca del partito del presidente catalano Artur Mas, Democràcia i Llibertat (indipendentisti di centrodestra), sei ai nazionalisti di destra moderata baschi del Pnv (che esprimono l’attuale presidente basco), e due ai nazionalisti di sinistra di EH Bildu (politicamente legati alle rivendicazioni dell’Eta, ma ormai contrari alla violenza), che crolla davanti a Podemos. Infine, un seggio alla Coalizione canaria, partito di destra locale.
Rimane fuori il partito che storicamente disputava a Pp e Psoe la posizione di centro: UpyD di Rosa Diáz, che viene spazzato via: passa da Più di un milione di voti a meno di 150mila.
Per il modo in cui funziona la legge elettorale, lo storico partito animalista Pacma, con più voti di EH Bildu, non ottiene neppure un seggio. Mentre i verdi di Equo, alleati con Podemos a Valencia, entrano per la prima volta. Sempre dalla comunità valenziana arriva anche la prima deputata nera: un’attivista femminista di origini guineane (la Guinea equatoriale è un’ex colonia spagnola).
Al Senato invece i risultati sono molto diversi. Molto sottovalutato perché – pur dovendo essere una camera delle autonomie – di fatto è una camera di seconda lettura non vincolante, e nomina alcune cariche costituzionali. Ma soprattutto in questa legislatura sarà chiave perché ha competenze per esempio per bloccare le comunità autonome discole, per esempio la Catalogna, e per riformare la costituzione. Cosa per la quale ci vuole la maggioranza dei 3/5 di entrambe le camere. E il senato rimane saldamente in mano popolare: 124 senatori dei 208 eletti (a cui si aggiungono i 23 popolari eletti dalle comunità autonome), per un totale di 147 – la maggioranza è di 134. La cosa è curiosa, perché le elezioni per il senato sono le uniche in cui gli spagnoli possono esprimere una preferenza, fino a tre, e per qualsiasi nome di qualsiasi partito. Ma così è: senza il senato, e cioè senza il Pp, non si può riformare la costituzione (come chiedono a gran voce i nuovi entrati).
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