La visita a Berlino di Barack Obama è servita a mettere in scena l’intesa fra il presidente americano e la cancelliera Angela Merkel sul Trattato di libero scambio fra Unione Europea e Stati uniti (Transatlantic Trade and Investment Partnership – Ttip). Un aspetto del viaggio messo in ombra dalle parole ad effetto sul disarmo, ma che racchiude molta più «sostanza» delle promesse sulla riduzione dell’arsenale atomico. Come dimostra la grande attenzione che le organizzazioni economiche tedesche stanno dedicando all’avvio dei negoziati.
L’esempio più emblematico è offerto da due influenti think tanks neoliberali: la Fondazione Bertelsmann e l’Istituto per la ricerca economica Ifo. In uno studio realizzato insieme, pubblicato online proprio alla vigilia dell’arrivo di Obama, i due centri di ricerca sostengono che l’entrata in vigore del Ttip porterebbe enormi benefici per l’intera Unione europea: 1 milione 400mila posti di lavoro, aumento delle retribuzioni, e una crescita media del 5%. Numeri e toni entusiastici ampiamente ripresi dai giornali borghesi tedeschi.
Al di là della propaganda, una cosa è certa: le possibilità di investimenti e affari per alcune imprese europee aumenterebbero. Soprattutto, imprese tedesche. La Frankfurter Allgemeine Zeitung, autorevole voce della Germania liberal-conservatrice, riferisce che a desiderare la rapida approvazione del trattato sono le industrie della costruzione di macchine utensili, quella automobilistica, il settore dell’information technology, e anche – immancabilmente – le banche. E guai a chi rema contro, come il governo di Parigi: «Ciò di cui i francesi gioiscono è fatale per l’Europa», scriveva il quotidiano di Francoforte in un commento pubblicato lunedì. Nel mirino c’è la cosiddetta «eccezione culturale» imposta da François Hollande ai negoziatori europei, in base alla quale un settore come quello dell’audiovisivo è stato messo al riparo dai negoziati.
Chi spinge a più non posso per il libero scambio è, sul versante politico, il Partito liberale (Fdp) del vicecancelliere e ministro dell’industria Philipp Rösler, ringalluzzito per gli ultimi sondaggi che vedono la sua formazione continuare a crescere. Se si votasse domenica prossima, la Fdp non avrebbe problemi a superare la soglia di sbarramento del 5%: un dato che pochi mesi fa pareva un miraggio.
Anche Angela Merkel sostiene senza remore il trattato con gli Stati uniti, come ha voluto ribadire mercoledì nel suo discorso di saluto ad Obama di fronte alla Porta di Brandeburgo.
Il nuovo accordo si inserirebbe nella tradizione della partnership transatlantica, «condizione per la libertà e il progresso», che risale al piano Marshall e al ponte aereo su Berlino del 1948. Retorica a non finire, quella della leader democristiana, infarcita con la paradossale promessa di «imparare dagli errori che hanno portato alla crisi economica» proprio mentre si vuole deregolamentare ancora.
A reagire all’inarrestabile e flusso propagandistico sono alcuni «serbatoi di pensiero critico» come la Fondazione Hans Böckler, vicina ai sindacati. In uno studio disponibile sul suo sito, analisti non accecati dalla fede neoliberista mostrano come il trattato in discussione in realtà non servirebbe alla crescita: i dazi doganali fra Stati uniti e Unione europea sono già oggi molto bassi e gli effetti di un’ulteriore riduzione si noterebbero appena. Da registrare, tra le interpretazioni critiche, anche l’impegno di Attac, che ha promosso una rete di associazioni per denunciare i rischi del Ttip per le ricadute che potrà avere sulle norme che tutelano l’ambiente, la salute dei consumatori e i diritti dei lavoratori.