Il giorno dopo l’espiazione parlamentare di mercoledì – quando Boris Johnson ha spergiurato quasi in mezzo agli sberleffi dell’opposizione di essere andato al garden party del 20 maggio 2020 violando le regole di distanziamento sociale da lui stesso promulgate durante il primo lockdown convinto che fosse un «meeting di lavoro» – ecco che cominciano materialmente a staccarsi i primi pezzi della sua leadership.

IERI IL LEADER conservatore scozzese Douglas Ross e altri due deputati hanno ufficialmente chiesto a Johnson di farsi da parte. Ross ha inoltre annunciato che spedirà la sua missiva di sfiducia nei confronti del Premier al 1922 Committee, l’organismo tory che sovrintende, fra le altre cose, all’elezione del leader del partito. Il quorum di lettere da raggiungere perché si metta in moto il procedimento di elezione è di 55, ma il voto è segreto, per cui non si sa quanto lontano sia Johnson dalla deposizione. Finora si sa ufficialmente solo di una lettera spedita, quella del deputato William Wragg, per dichiarazione di quest’ultimo.
Quello che si sa è che la botta alla (in)credibilità del premier è stata di inusitata violenza, che il Labour ha per la prima volta in anni staccato di svariate lunghezze i Tories nei soliti sondaggi e che laddove l’inchiesta indipendente in corso presieduta dalla funzionaria Sue Gray dovesse appesantire anche di un milligrammo la posizione del premier, il funambolismo di una carriera politica sempre sul filo della gigionesca fandonia rischia davvero il tonfo.

Il sostegno a Johnson nel suo governo è tiepido e imbarazzato. Rishi Sunak, il cancelliere dello Scacchiere e maggior candidato alla successione, ha marinato l’aula mercoledì ed espresso la sua solidarietà al premier con uno striminzito tweet. L’attacco di Ross è invece politicamente chiaro: i fantasmatici tories scozzesi, in lotta perenne per non estinguersi nel panorama stra-dominato dai nazionalisti del Snp, vedono con disappunto non solo la faciloneria morale di un leader Londra-centrico come “Boris”, ma anche la sua rilassatezza sulla questione dell’Unione, che una Brexit propagandata a sangue da lui stesso ha compromesso fatalmente costringendoli a uscire contro la propria volontà dall’ Ue e spingendoli in massa tra le braccia del Snp. Allo stesso modo va letta la reazione di Jacob Rees-Mogg, il presidente dei Comuni, leaver sfegatato che è sceso a difesa di Johnson definendo Ross un «peso leggero» politico: leggero non solo perché i tories in Scozia quasi non esistono ma anche perché al nazionalismo inglese di Rees-Mogg sotto sotto della defezione della Scozia dall’unione gliene cale assai poco.

PER ORA JOHNSON resta aggrappato al suo risibile «credevo fosse una riunione di lavoro», sperando che l’inchiesta di Gray in qualche modo ne allevi le responsabilità. Gray è al lavoro per accertare, oltre a questa, le violazioni relative a una decina di assembramenti social-distensivi organizzati a Downing Street in patente violazione delle norme anti-Covid svoltesi negli ultimi due anni ed emerse negli ultimi mesi.