«Fuoco sui «terroristi, senza preavviso». Con queste parole il presidente kazakho, Kassym-Jomart Tokayev, si è rivolto alla nazione ieri mattina, dopo gli scontri e le proteste che continuano in tutto il paese dal 2 gennaio, aggiungendo che la repubblica centrasiatica deve fronteggiare «terroristi sia locali che stranieri, ben armati e addestrati». ma la scintilla della rivolta è stato il raddoppio del costo dei carburanti, la cui responsabilità è stata tutta del governo kazakho.

MENTRE SCRIVIAMO, gli ultimi dati complessivi diffusi dalle autorità parlano di oltre tremila arresti e 26 manifestanti uccisi negli scontri a fuoco con le forze di sicurezza, che contano 18 vittime e più di 700 feriti: numeri che, tuttavia, sono destinati ad aumentare.

Gli scontri continuano in numerose città (Shymkent, Taraz, Aktobe e Almaty sono solo alcune), e lo stesso Nursultan Nazarbayev, che Tokayev ha rimosso dalla presidenza del Consiglio di sicurezza nazionale in un vano tentativo di placare i disordini, avrebbe lasciato il paese insieme alle figlie. Solo nella capitale la situazione sembra sotto controllo, anche se fonti locali hanno riferito che si starebbero formando squadre popolari di volontari per aiutare le forze di polizia.

ALLO STATO ATTUALE, ad Almaty (seconda città del paese ed epicentro delle proteste) permane una situazione di grande tensione. L’agenzia di stampa russa Tass ha riferito che gli spari sono andati diminuendo da ieri, anche numerose piazze continuano a essere occupate da militari che sparano in aria per allontanare chi si avvicina. Nei negozi il cibo scarseggia e i benzinai sono chiusi, mentre l’aeroporto della città, tornato sotto il controllo delle autorità, rimarrà chiuso ai voli civili fino alla mezzanotte di domani.

Lo stato di emergenza dichiarato dal governo rimarrà fino al 19 gennaio, in misura rafforzata dopo che il Consiglio di sicurezza ha decretato il livello di massima allerta terrorismo. Tra le altre cose, il provvedimento consente alle autorità di perquisire arbitrariamente abitazioni e condurre attività di sorveglianza e intercettazione. Fondamentale, come ribadito dallo stesso Tokayev, è stato il contributo del contingente di pace inviato dalla Csto, atterrato ieri a bordo di nove aerei russi Il-76.

Forze di pace che in ogni caso, come chiarito dal premier armeno Nikol Pashinyan, presidente di turno della Csto, si occuperanno della difesa di strutture strategiche come l’aeroporto o i giacimenti di petrolio e gas: del mantenimento dell’ordine pubblico continueranno ad occuparsi le autorità nazionali.

In questo modo si è cercato di evitare qualsiasi confronto tra i soldati stranieri e i manifestanti, dopo che Tokayev, negando qualsiasi possibilità di mediazione con quelli che ha definito «criminali», ha parlato del coinvolgimento di agenti stranieri nelle rivolte. Proprio ieri, l’ex banchiere kazakho Mukhtar Ablyazov, leader del movimento «Scelta democratica del Kazakhstan» e attualmente residente in Francia con lo status di rifugiato politico, ha dichiarato di essere a capo delle proteste.

LA PORTATA DEI DISORDINI è molto insolita per le autoritarie repubbliche centrasiatiche, e a maggior ragione in Kazakhstan dove fenomeni di radicalismo e violenza sono molto meno diffusi rispetto ai paesi limitrofi. L’efferatezza di alcuni episodi (due poliziotti ad Almaty sono stati ritrovati decapitati), insieme ai numerosi scontri a fuoco e all’assalto di infrastrutture strategiche come l’aeroporto o i grandi ospedali, potrebbero far pensare a una regia esterna. Tanto più in un momento delicato come quello attuale, in cui Russia e Stati Uniti hanno ripreso un dialogo teso a normalizzare le relazioni.

È INDICATIVO CHE il presidente cinese Xi Jinping abbia telefonato a Tokayev ribadendo la determinazione di Pechino ad aiutare il Kazakhstan a uscire dalla crisi ed elogiando le autorità locali per la gestione dell’emergenza, a dispetto dei numerosi morti.

Anche l’Iran, che per ovvi motivi geografici guarda alla vicenda con apprensione (come Pechino), ha ribadito di considerare le rivolte una «questione interna». Il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Saeed Khatibzadeh, ha detto che «alcuni attori stranieri stanno traendo vantaggio dalla situazione: stabilità e sicurezza sono particolarmente importanti per il Kazakhstan, e ci auguriamo che la pace possa essere ristabilita il più presto possibile».

In ogni caso, occorre tenere presente anche l’impatto del caro dei prezzi energetici a livello globale, che ha gravato ulteriormente sui ceti popolari e sui lavoratori del comparto degli idrocarburi in Kazakhstan: paese che, nonostante ci sia stato una sorta miglioramento della qualità della vita negli anni di Nazarbayev, rimane estremamente povero. Proprio la regione del Mangistau, sulle coste del Mar Caspio, è stata già al centro di imponenti scontri tra operai e forze dell’ordine in passato, per motivi analoghi.