Prima di essere destituito dalle sue funzioni insieme all’intero vertice della Generalitat catalana, Carles Puigdemont aveva più volte chiesto invano l’intervento di Bruxelles per una possibile mediazione tra le parti.

Al termine di un viaggio degno di una spy story – in macchina da Barcellona a Marsiglia e quindi da qui attraverso un volo di linea diretto – il leader indipendentista ha raggiunto ieri la capitale belga, anche se non certo su invito dell’Unione europea.

DOPO L’APPLICAZIONE del famoso articolo 155 da parte della autorità spagnole, e dopo che la magistratura di Madrid ha fatto sapere di voler interrogare 14 membri del governo catalano, Puigdemont compreso, che rischiano tra i 15 e i 30 anni di carcere in base all’accusa di «sedizione e ribellione», è stato infatti un ministro del governo belga, Theo Francken, esponente dei nazionalisti fiamminghi e responsabile di dicastero all’immigrazione e all’asilo, a rivolgere un invito al leader indipendentista di Barcellona, annunciando che quest’ultimo potrebbe anche «chiedere asilo politico» in Belgio.

Non certo «l’internazionalizzazione» del conflitto auspicata dai catalani, ma una mossa che può in ogni caso cambiare per molti versi le carte in tavola.

PUIGDEMONT, che ha raggiunto il Belgio insieme ad alcuni «ministri» del suo esecutivo, tra cui due membri del partito centrista PdeCat, Meritxell Borràs e Joaquim Forn, rispettivamente responsabili della Sanità e del Lavoro, e tre della sinistra dell’Erc, Toni Comín, Interni, Meritxell Serret, Agricoltura e l’ex sindacalista Dolors Bassa, potrebbe così mettersi al riparo da un eventuale arresto e preparare la campagna per le elezioni del 21 dicembre alle quali, malgrado siano state imposte da Madrid, gli indipendentisti catalani, al momento con la sola esclusione della Cup, hanno deciso di partecipare all’appuntamento cruciale.

Inoltre, anche se non è chiaro se l’obiettivo sia effettivamente la richiesta di asilo politico al governo belga, come affermano in serata diversi media spagnoli, la sola presenza del leader catalano a Bruxelles non potrà che avere un effetto disturbante sugli equilibri interni della Unione europea fino ad ora ha sposato senza esitazione la linea intransigente di Madrid, visto che i diversi Stati membri, molti dei quali hanno tutt’altro che risolto al loro interno le diverse «questioni nazionali», temono tra le altre cose un possibile effetto domino che muova dalla crisi catalana.

OFFRIRE una sorta di platea internazionale alle ragioni degli indipendentisti catalani proprio nel momento in cui le sorti dell’intera partita sembrano volgere a favore del governo di Mariano Rajoiy, non è però probabilmente l’unica preoccupazione, e c’è da credere nemmeno la principale, di Theo Francken e del suo partito, la Nieuw-Vlaamse Alliantie, Nuova alleanza fiamminga, socio di maggioranza del governo guidato dal liberale Charles Michel grazie al 30% dei consensi che ne fanno da tempo la prima forza politica delle Fiandre.

Mentre dal primo ministro belga non arriva alcun commento ufficiale alla vicenda, e perfino i vertici della Nva escludono il proprio coinvolgimento, il collega di partito di Francken, il ministro degli Interni Jan Jambon ha detto di non essere al corrente dell’arrivo del (deposto) presidente catalano, e il presidente della regione fiamminga, Geert Bourgeois, anch’egli del Nva, nega di avere in programma un incontro con Puigdemont, non sfugge come l’iniziativa dell’esponente di un partito di destra e che non ha mai reciso del tutto i contatti con i nazionalisti d’anteguerra che scelsero la via della collaborazione con i nazisti, trovi molti consensi presso una parte non marginale dell’opinione pubblica fiamminga.

COME HA SOTTOLINEATO lo storico Marc Reynebeau, chiamato da Le Soir a commentare a caldo l’accaduto, «offrire il proprio sostegno ad altri movimenti nazionalisti, siano essi scozzesi, bretoni o catalani, non fa che riaffermare l’idea che la querelle comunitaria del Belgio veda contrapposte due “nazioni” e che anche da noi vi siano diritti calpestati».

Dopo aver smentito ufficialmente la scorsa settimana l’ipotesi di voler seguire la linea di Barcellona con un eventuale referendum pro-indipendenza, i nazionalisti fiamminghi intendono comunque capitalizzare a fini interni il clima favorevole ai catalani emerso tra i loro elettori attraverso quella che il quotidiano francofono ha bollato come una «pugnalata alla schiena del premier Michel».

Il rischio è che con la scusa della Catalogna siano i difficili equilibri del Belgio a tornare in bilico.