Per la Grecia è arrivato il momento di dimostrare all’Europa di aver fatto i compiti a casa, come Bruxelles gli aveva chiesto tre mesi fa. Ieri è infatti scaduto l’ultimatum che il 12 febbraio scorso l’Unione europea aveva intimato ad Alexis Tsipras per mettersi in linea con l’identificazione dei migranti e, soprattutto, per dimostrare di saper controllare le proprie frontiere fermando l’ondata di rifugiati in arrivo dalla Turchia. E entro la mezzanotte di ieri il premier greco doveva inviare una relazione a Bruxelles dimostrando di aver rispettato i patti risolvendo le «serie carenze» di cui l’Europa lo accusava e scongiurando così l’applicazione dell’articolo 26 del codice di Schengen, quello che permetterebbe l’estensione dei controlli alle frontiere interne dell’Unione. Cosa probabilmente non sarebbe sgradita a Germania e Austria che si vedrebbero così autorizzate a prolungare lo stop al Trattato – in scadenza a maggio – per due anni.
Le possibilità che Bruxelles bocci Tsipras e il suo governo, risuscitando così il fantasma di una Grecia fuori da Schengen, sono obiettivamente scarse ma non si può mai dire. E’ vero che nel frattempo l’Unione europea ha siglato un accordo con la Turchia che gli consente di rispedire indietro tutti i migranti, siriani ma non solo, arrivati sulle isole dell’Egeo dopo il 20 marzo, ma è vero anche che negli hotspot aperti non senza fatica dal governo greco a Lesbo, Chios, Kos e Samos l’analisi delle richieste di asilo e l’identificazione dei migranti procedono a rilento e con molte difficoltà. Come dimostra anche la rivolta scoppiata proprio ieri nell’hotspot di Moria, a Lesbo, quando un gruppo di minori non accompagnati ha cercato di fuggire attraverso un buco nella recinzione. Le autorità non confermano, ma sui siti greci si parla di lancio di lacrimogeni da parte degli agenti e di migranti feriti, nonché di un lancio di bottiglie di acqua contro il ministro greco per l’immigrazione Yanis Mouzalas, in visita al centro.
Ma questi non sono gli unici ostacoli che Tsipras potrebbe trovarsi di fronte. Contro di lui gioca infatti anche il forte vento xenofobo che da mesi soffia in Europa. L’Austria, dove domenica il primo turno delle presidenziali è stato vinto dall’estrema destra di Norbert Hofer, sta chiudendo uno alla vota tutti i suoi confini (per oggi è prevista al Brennero una conferenza stampa per illustrare la barriera che dopo 21 anni tornerà a dividere Austria e Italia). La Germania non si oppone e anzi punta a mantenere anche lei i controlli alle frontiere. Stessa cosa per quanto riguarda il blocco di Visegrad e paesi balcanici. La Gran Bretagna è a un passo dall’uscita dall’Ue mentre gli antieuropeisti di ogni latitudine soffiano sul fuoco. Insomma una brutta aria per Tsipras, che a sua difesa potrà solo ricordare ancora una volta come sia proprio l’Unione europea a non aver rispettato i patti, visto il fallimento del tanto sbandierato ricollocamento dei migranti: appena 615 rifugiati trasferiti dalla Grecia invece dei 63mila promessi (530 dall’Italia su 39mila).
Il dossier Grecia verrà esaminato dalla Commissione europea entro il 12 maggio. Intanto, però, Bruxelles deve fare i conti con un altro problema, sicuramente più spinoso, come la liberalizzazione dei visti per la Turchia. Il 4 maggio la commissione presenterà il rapporto in cui si farà il punto sui progressi compiuti da Ankara nel rispetto dei 72 criteri richiesti per ottenere l’esenzione. Sui numeri è battaglia. Una settimana fa Ankara sosteneva infatti di essere quasi in regola (ne sarebbero mancati una quindicina), ma a Bruxelles i conti non tornerebbero. Cosa che non piace al premier turco Ahmet Davutoglu né al presidente turco Erdogan che in più di un’occasione hanno minacciato di sospendere l’accordo siglato sui migranti.