Nell’elenco delle intese istituzionali tra Italia e Cina a corollario della visita del presidente Xi Jinping, quella per l’esportazione delle arance rosse siciliane rappresenta l’ennesima puntata di una vicenda da mesi contrassegnata da annunci propagandistici, in particolare del vice premier e ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio.

«Il 2 aprile a Pechino arrivano, per la prima volta, le arance siciliane trasportate via aereo», ha scritto qualche giorno fa sulla sua pagina Facebook, attraverso la quale già il 6 novembre del 2018 aveva comunicato: «Da oggi le nostre produzioni agricole potranno volare in Cina in aereo: una grande novità per le imprese non solo siciliane». Il successivo 23 gennaio, mentre il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio in missione a Pechino siglava il nuovo accordo sugli agrumi, Di Maio commentava: «Anche durante il lavoro è sempre un piacere gustarsi una bella arancia siciliana, specialmente oggi che festeggiamo una grande vittoria del governo! (…) Prima, pensate, era vietato e le arance potevano arrivare in Cina solo in nave, facendo perdere un sacco di soldi ai nostri imprenditori, che ora potranno portare il gusto delle nostre arance anche ai cittadini cinesi».

UN SUCCESSO ANCHE PER LA PIATTAFORMA di ecommerce Alibaba, numero uno in Cina, che a tale prospettiva ha lavorato per due anni assieme al Distretto agrumi di Sicilia e con la collaborazione della Regione Sicilia, dell’Istituto nazionale per il commercio estero (Ice) e non ultimo del ministero delle Politiche agricole.

L’apertura del mercato cinese a questo settore agrumicolo italiano è stata infatti avviata grazie al protocollo fitosanitario firmato dai due paesi nel 2017, ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, che intanto consentiva l’export via mare. Ma lungo la Via della Seta marittima la prima partita di arance rosse siciliane di varietà Moro e Tarocco è arrivata solo lo scorso 18 marzo nel porto Yangshan di Shangai, a bordo di una nave salpata dal porto di Catania 45 giorni prima, il 5 febbraio festa della patrona cittadina Sant’Agata. Due container di 12 metri e dal peso di quasi 40 tonnellate di arance di un’azienda di Scordìa che, superata l’ispezione doganale, hanno raggiunto Ningbo, città di millenaria fama commerciale, con tanto di cerimonia inaugurale in programma.

In tutto ciò decisamente non mancano aspetti singolari e perplessità. La Cina è il terzo paese produttore al mondo di arance (l’Italia molto distanziata è al nono) ed è la patria dell’arancio: Citrus sinensis, cioè cinese, il suo nome scientifico botanico. Ed è un errore ritenere che non produca anche arance rosse.

«Le produce e l’Università dello Hunan ha da qualche anno in coltivazione varietà rosse, le chiamano Lido Blood Orange, introdotte dall’Italia. Quindi tra qualche anno è presumibile che saranno loro ad esportarle in Italia», afferma il professore Giuseppe Barbera, direttore del dipartimento di colture arboree dell’Università di Palermo, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e responsabile di progetti nazionali e internazionali, che sull’argomento non usa giri di parole: «È un mondo molto stupido e cieco quello che gioisce perché le arance in aereo, con relativi costi ambientali in termini di carbon miles, arrivano nel paese che per primo e di più le produce. Mentre per gli agrumicoltori siciliani e italiani, per quelli che si prendono cura dei paesaggi agrari più belli del mondo, si spendono solo chiacchiere».

NEL COMPARTO AGRUMICOLO CINESE la produzione di arance rosse «siciliane» è nata dallo sviluppo delle prime piante da embrioni della cultivar Tarocco di Sicilia, frutto delle sperimentazioni delle ricerche del Citrus Research Institute of Chinese Accademy of Agricoltural Science iniziate una decina di anni fa. In particolare nel distretto di Wanzhou i terreni coltivati ad arancia rossa coprirebbero circa 8 mila ettari in base ai dati forniti l’anno scorso dal Corriere Ortofrutticolo. Per ragioni tecniche, la qualità del prodotto per ora non è paragonabile a quella delle rosse siciliane. La cui bontà e benefici salutistici non premiano però i produttori siciliani, gran parte dei piccoli agricoltori ai quali i commercianti all’ingrosso pagano cifre irrisorie. Quest’anno 15-20 centesimi, e anche meno, al chilo per il Tarocco; 25-35 centesimi per il Moro diventato più raro analogamente al Sanguinello. Di contro nei mercati del nord Italia e all’estero le rosse siciliane si possono trovare in vendita a 3 euro e più al chilo.

«Aumentano i piccoli produttori di arance – economicamente insoddisfatti, che a volte non riescono a far fronte alle spese – che cedono i propri terreni ai commercianti», racconta Salvatore Giuffrida di Slow Food di Lentini che da 20 anni organizza Le città dell’arancia, iniziativa che coinvolge altre condotte dell’associazione in Sicilia e in altre regioni non solo italiane, con invio di frutto fresco e suoi derivati a base di marmellate, mieli e dolci per cene e degustazioni.

Alfina Leone ha un’azienda agricola nel territorio di Carlentini, «terreni che mio padre cominciò a coltivare negli anni Cinquanta e che adesso gestisco con mio figlio. Se dovessi conferire le arance solo ai magazzini dei commercianti avrei già venduto anch’io i miei ettari di agrumi. Resistiamo perché riusciamo a differenziare la commercializzazione della produzione: parte ai commercianti, parte di frutto fresco lo vendiamo direttamente al pubblico nei settimanali mercati contadini a Siracusa e in quello di Slow Food a Lentini, parte lo spediamo a un gruppo di acquisto del nord Italia. Inoltre una percentuale di arance la trasformiamo per le nostre marmellate di Moro e Tarocco».

AI GAS E ATTRAVERSO LA VENDITA SU INTERNET distribuisce le sue arance la Cooperativa Beppe Montana/Libera Terra che gestisce a Belpasso e Lentini terreni espropriati dallo Stato alla mafia. Interessante anche la Rete Incampagna che riunisce alcune decine di produttori di arance ed altro delle province di Siracusa e di Catania. Andrea Valenziani, che ne è il coordinatore, dice: «Esportiamo principalmente in alcune città italiane, a Parigi, in Belgio, in Polonia, a singoli, a gruppi di acquisto, a realtà aziendali che praticano sistemi di filiera minima che valorizzano il prodotto e chi lo ha prodotto, come nel caso delle nostre arance».

TANTO PIÙ APPREZZATE LE ROSSE SICILIANE in giro per il mondo, tanto meno presenti in giro per la Sicilia. Un esempio di questo paradosso siciliano: Salvatore Torrisi, titolare di Oranfresh, una società catanese specializzata in distributori automatici di spremuta d’arance – piazzati in 60 paesi del mondo, ma quasi per niente in Sicilia – ha di recente proposto pubblicamente che la Regione obblighi Asl e scuole ad indire bandi di gara per introdurre negli ospedali e negli istituti scolastici macchine per le spremute fresche di arance coltivate rigorosamente siciliane. D’accordo naturalmente le organizzazioni dei produttori di arance, sia rosse che bionde.