Gli articoli sul Guardian e sulla New Left Review – e ogni tanto sul manifesto. Libri come Clash of Fundamentalism, Bush in Babylon, The Obama Syndrome (il prossimo esce a fine mese, la parabola dell’Afghanistan in quarant’anni di scritti). L’ostinata militanza comunista. Vent’anni dopo il 9/11, Tariq Ali ha il baffo più bianco, forse fa meno manifestazioni e più lezioni di politica ed economia al “suo” Exeter College a Oxford ma non ha perso un grammo di vis polemica. Nato a Lahore, la famiglia filo-comunista lo tolse dalle mani dei dittatori militari pakistani e lo spedì giovanissimo a Londra, e qui sindacato studentesco, guerra del Vietnam, l’amicizia con Malcom X, Stokely Carmichael, John Lennon (presente Power to the People?). E tutto quanto il resto fino al Forum sociale mondiale a Porto Alegre e oltre. Poco tempo fa una commissione d’inchiesta britannica ha accertato che lo Special Branch, originale mix di polizia e servizi segreti, lo ha spiato fin dagli anni Sessanta. Quando caddero le Torri, ancora lo spiava.

Vent’anni da quell’11 settembre. Come pensi che questo tempo abbia ridefinito il nostro mondo?
È molto chiaro che la guerra al terrore è stata lanciata per rimodellare un mondo a portata di Stati uniti. L’ha detto Bush, l’ha detto Condoleezza Rice, l’ha detto il criminale di guerra recentemente scomparso Donald Rumsfeld… Non hanno usato la parola pretesto, ma l’evento del 9/11 è stato il punto di partenza per cambiare orientamento: non solo diamo la caccia a Bin Laden, ma vogliamo cambiare la struttura di quei paesi. Quindi questi vent’anni, per gli Usa e gli alleati europei, sono la storia di un disastro. Sei diverse guerre, migliaia di miliardi di dollari spesi, milioni di morti nel mondo musulmano… E una sconfitta politica e ideologica per gli Stati uniti e per tutti i leader europei che queste guerre hanno appoggiato. Non dovremmo sottostimarne la scala. Per vent’anni l’Afghanistan è stato occupato e governato da Usa e Nato. Risultato? Niente. Hanno distrutto la Libia per liberarsi di Gheddafi e oggi la Libia è gestita da tre gruppi jihadisti di estrema destra. L’Iraq diventa ogni giorno più fondamentalista e non ha ricostruito l’infrastruttura sociale che esisteva sotto Saddam. La Siria è un enorme pasticcio. È stato un intero ciclo di lezioni per l’Occidente.

Imparate?
No. Sconfitte, sofferenze, milioni di morti e miliardi buttati, e gli Usa si sentono ancora la parte dominante. E i paesi europei non hanno avuto niente di indipendente da dire, giusto qualche rara, leggera critica. No, non è un buon momento per l’Occidente.

In «Clash of Fundamentalism», del 2002, tu racconti diversi fondamentalismi, e il primo è il capitalismo moderno. Da allora c’è stata un’evoluzione? Un vincitore e un vinto?
Nessun vincitore. Tranne in Afghanistan, dove i talebani hanno vinto, e Al Qaeda con cui gli Stati uniti collaborano in Siria e in Libia. Ma gli Usa sono certamente i perdenti. E non si può dire che la gente del mondo islamico abbia vinto niente, continuano a soffrire sotto i più diversi regimi come in Siria, in Libia, in Yemen, in Iraq. Questa è la vera storia, non quel «stiamo andando bene» ripetuto per vent’anni in Afghanistan. La miglior cronaca afghana non è della Cnn o della Bbc, è di Al Jazeera. Mandano reporter nel paese, filmano, parlano con la gente, e così puoi farti un’idea del perché persone comuni e non particolarmente fondamentaliste hanno deciso che i talebani erano la scommessa migliore: perché l’altra era l’occupazione militare.

Quindi questi vent’anni di “esportazione della democrazia” hanno finito per cambiare forma solo alla nostra, di democrazia?
Esattamente! Esportare la nostra democrazia non è mai stata un’idea particolarmente buona, è così intrecciata con il grande capitale che banchieri e politici sono quasi indistinguibili in termini di denaro e modo di usarlo, e non cambia granché il fatto che governi il centrodestra o il centrosinistra. L’Italia e i suoi semi-fascisti di governo sono una piccola eccezione, ma nel quadro complessivo le differenze sono prossime allo zero, un fenomeno che il capitalismo ha sviluppato in due o trecento anni. Esportarlo? Non poteva funzionare.

In compenso ha funzionato benissimo l’aumento del controllo.
Ricordi la Stasi? Orrore, milioni di cittadini spiati! Oggi ogni paese occidentale può sorvegliare tutti i suoi cittadini. Tutti.

E tu lo sai di prima mano: lo Special Branch non ti corre dietro da decenni?
Questa commissione d’inchiesta governativa ha già dovuto spedirmi sei casse di documenti che mi riguardano, e non è ancora tutto. Una cosa stupidissima, bastava leggere i miei articoli e sentire i miei discorsi. C’è questo rapporto degli anni ’70, l’agente sotto copertura scrive che a un incontro in un college mi ha visto «in contatto intimo» con il leader del sindacato studentesco. Che era un uomo! Tutto fake, certo, ma capisci il livello?

Eppure non eravamo partiti male. Enormi manifestazioni contro la guerra, il «New York Times» che scrive di «seconda superpotenza mondiale»… Quei ventenni oggi sono quarantenni, alcuni saranno classe dirigente. Che fine hanno fatto?
La grande mobilitazione globale è durata solo poche settimane. Quando fu chiaro che i governi che andavano alla guerra avrebbero ignorato completamente le voci dei loro stessi cittadini, la gente è tornata a casa dicendo che così va il mondo. Il movimento Stop the war è ancora vivo solo in Gran Bretagna, anche se non certo con le proporzioni di allora. Ma in ogni altro posto è collassato. E ha lasciato un sacco di gente demoralizzata e depoliticizzata, che si è sentita impotente, che è tornata a casa. Lo paghiamo ancora oggi.

Abbiamo barattato libertà per sicurezza, come nel famoso anatema di Franklin?
Il modo in cui in l’Occidente ha abbandonato diritti umani fondamentali per la cosiddetta guerra al terrore è stato terribile. Oggi possono prendere chiunque e metterlo in prigione senza processo, si può fare nella maggior parte dei paesi europei e negli Stati uniti, dove Obama è andato oltre e ha affermato il diritto del presidente di ordinare l’esecuzione di ogni cittadino americano ritenuto una minaccia, un balzo indietro all’impero romano. Questa guerra è stata costosa per i diritti politici dei cittadini occidentali. E per quale sicurezza? Attacchi a Londra, in Francia, in Spagna, a Islamabad in Pakistan, a Mumbay in India… Gli attacchi terroristici sono aumentati, non diminuiti.

Terrorismo allora, salute adesso, forse cambio climatico tra poco: la paura ormai fa parte del tessuto della nostra vita? O sono paure diverse?
Dato il declinare della democrazia, ogni grande crisi può essere usata per esercitare più controllo sulle vite dei cittadini. Ecco perché così tanta gente in Francia – scioccamente, secondo me – ha montato un movimento contro i vaccini e le procedure di sicurezza: non si fidano del loro governo, non si fidano del loro stato. In molte parti del mondo gran parte della popolazione vuole disperatamente la vaccinazione, gente povera e disperata che chiede per favore vaccinateci, non vogliamo morire così. In Europa e negli Usa invece c’è quest’altro fenomeno, un anti-statalismo che conduce a mobilitazioni contro i vaccini. È lo specchio di ciò che accade in questi paesi sotto il profilo del processo democratico. E dopo il covid la paura arriverà con gli effetti del cambio climatico, che nessun governo sembra capace di affrontare. Perché bisognerebbe fare piani globali e originali, e su scala gigantesca.