Zitto zitto, il senato è già pronto ad approvare la prima riforma costituzionale della legislatura a maggioranza giallobruna. Siamo solo in prima lettura ed è una riforma di piccole dimensioni, ma il passaggio è certamente rilevante, si può dire storico. La riforma prevede un taglio drastico dei parlamentari; i deputati da 630 diventano 400, i senatori da 315 passano a 200. La riduzione è del 36,5%.

A DIFFERENZA DI QUANTO sta avvenendo alla camera, dove sul referendum propositivo i 5 Stelle hanno accolto diverse richieste di modifica delle opposizioni, al senato è stato sempre muro contro muro. Eppure per il Pd è difficile criticare il taglio dei parlamentari, visto che nella scorsa legislatura aveva cancellato il senato elettivo con la motivazione, renziana, che bisognava risparmiare sulle poltrone. «Questa proposta non è giudicabile in sé – ha detto allora il senatore del Pd Parrini – perché è parte di un disegno di demolizione della democrazia rappresentativa attraverso lo svuotamento e l’umiliazione del parlamento». I dem hanno provato ad aggiungere modifiche al bicameralismo paritario, ma gli emendamenti sono stati giudicati inammissibili ieri sera dalla presidente Casellati.

Lega e 5 Stelle, d’altra parte, non hanno portato nel corso della discussione argomenti più raffinati del semplice risparmio. A parità di seggi elettivi tagliati, il ministro Fraccaro ha proposto lo stesso conteggio che i 5 Stelle nella scorsa legislatura contestavano a Renzi e Boschi per la loro riforma (100 milioni l’anno, mentre la Ragioneria generale stimava la metà). E poi Di Maio ha previsto che la riforma costituzionale – che richiede quattro passaggi parlamentari e in mezzo tre mesi di riflessione più un referendum confermativo – sarà approvata entro l’estate. E’ impossibile, ma per Di Maio entro aprile saranno tagliate anche le indennità dei parlamentari; il capo 5 Stelle ha motivato questi tagli con il fatto che grazie al referendum confermativo le leggi le faranno i cittadini. C’è un evidente legame tra la democrazia diretta di cui si sta occupando la camera e la stretta antiparlamentare che va avanti al senato, la circostanza (in sé apprezzabile) che si tratti di due disegni di legge omogenei e limitati ha un po’ nascosto questo legame e la portata unitaria del disegno 5 Stelle. «Nella prassi e nelle dichiarazioni della maggioranza andiamo verso la negazione della democrazia rappresentativa», ha concluso la senatrice di LeU De Petris

UNA VOLTA APPROVATA questa riforma, ha calcolato l’ufficio studi del senato, l’Italia diventerebbe il paese dell’Unione europea con il più basso numero di parlamentari rispetto alla popolazione: 0,7 deputati ogni 100mila abitanti (nel Regno Unito ce n’è uno, 0,9 in Germania e Francia, 0,8 in Spagna), 0,3 senatori ogni 100mila abitanti (sono di meno solo in Germania dove però il senato ha una rappresentanza non elettiva dei Lander). Un primato coerente con il record del primo governo populista nel cuore dell’Europa. Le proporzioni stabilite dall’Assemblea costituente (fino al 1963 il numero di parlamentari in Italia non era fisso) vengono così quasi raddoppiate: invece che rappresentare 80mila cittadini, ogni nuovo deputato ne rappresenterà 150mila.

STAMATTINA SI VOTERANNO i pochi emendamenti (una quarantina) al disegno di legge costituzionale, tra i quali quello del relatore Calderoli che ha ascoltato solo le richieste dell’autonomia altoatesina. Poi ci sarà il voto finale. E subito dopo bisognerà occuparsi della legge elettorale, perché il Rosatellum non si adatta ai nuovi numeri del parlamento. Invece che cambiarlo, i 5 Stelle che pure lo avevano molto contestato (ma la Lega no) ne propongono un adattamento che conserva il doppio binario tra seggi uninominali (che alla camera passeranno da 231 a 147 e al senato da 109 a 74) e seggi proporzionali. Ma applicando la legge a numeri ristretti, i difetti ampiamente previsti e sperimentati con le elezioni del 4 marzo 2018 (capolista bloccati, alternanza tra i generi che svantaggia le donne, pluricandidature) saranno persino amplificati.