Traballa, ma sta in piedi. L’accordo nucleare con Teheran resiste agli scossoni. A malincuore, il presidente statunitense ha firmato la deroga a certe sanzioni. Una questione tutta americana, non rientra nei termini dell’accordo del luglio 2015.

Ma se Trump non rinnova il waiver ogni 120 giorni si crea un clima di incertezza che disincentiva gli investimenti stranieri in Iran. Israele e Arabia Saudita cantano vittoria: sull’accordo resta la spada di Damocle trattenuta da un esile crine di cavallo. È questione di tempo, prima o poi cadrà e farà danni.

Chi sarà la vittima? Verrebbe da pensare alle imprese europee, ma pare non abbiano timori: l’11 gennaio è stato firmato a Roma un accordo, utile al governo Rohani, tra la nuova struttura societaria Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) e due banche iraniane per l’apertura di linee di credito (5 miliardi) in grandi investimenti nei settori energetico, infrastrutturale, chimico, petrolchimico e metallurgico.

Importanti anche gli interessi francesi, tra cui l’accordo di 4,8 miliardi di dollari di Total e le attività delle case automobilistiche d’oltralpe. Pure gli Stati Uniti fanno affari con Teheran: non risulta che Trump abbia rinunciato a vendere 16 miliardi di dollari di Boeing che portano qualche migliaia di posti lavoro.

Inoltre, in tanti si avvalgono della General License H del Dipartimento del Tesoro statunitense, in vigore dall’implementation day (il 16 gennaio 2016), che consente alle consociate estere di società americane di operare in Iran. Trump è un businessman, ci penserà due volte prima di far saltare l’accordo nucleare di cui beneficiano gli stessi americani.

Secondo l’avvocato Marco Zinzani dello Studio Padovan di Milano, «è fondamentale la due diligence, ovvero la verifica della conformità delle operazioni commerciali e finanziarie con la normativa vigente che comprende sia disposizioni Ue sia regole Usa.

Tre le difficoltà: la valutazione del divieto europeo di mettere fondi o risorse economiche indirettamente a disposizione o a beneficio di persone designate; l’opacità dell’economia iraniana e la problematicità nell’individuare i collegamenti, anche indiretti, tra le società iraniane e i pasdaran messi all’indice; la complessità del regime Usa di sanzioni ed export control».

Se il business non è vittima dell’incertezza, lo sono gli interessi politici, di sicurezza e stabilità del Medio Oriente perché le invettive di Trump spingono le autorità iraniane a rafforzare le alleanze con Russia e Cina. In ogni caso bisogna fare buon viso a cattivo gioco per almeno due motivi.

Il primo. Confermando il waiver, Trump priva la leadership di Teheran dell’opportunità di biasimarlo per i problemi economici e l’impossibilità di fare fronte alle aspettative degli iraniani. Il secondo motivo è che Trump ha sì imposto nuove sanzioni, ma non colpiscono il settore petrolifero e la Banca Centrale e quindi non vanno a colpire la popolazione aumentando l’inflazione e svalutando il rial. Le nuove sanzioni prendono di mira – tra gli altri – Sadegh Larijani, a capo di quella magistratura nel mirino delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Ci può stare.

Ma che senso ha imporre sanzioni che congelano i beni negli Stati Uniti di Hassan e Hossein (l’equivalente di Tizio e Caio) e gli impediscono di entrare negli States? Trump pensa che ayatollah e pasdaran mettano i soldi in banca a New York e portino i figli a Disneyland in Florida?

In ogni caso gli iraniani osservano il presidente americano con curiosità: «È un personaggio bizzarro, nei prossimi mesi cambierà ancora idea, se resterà in carica. Se manderà a monte l’accordo, l’America si troverà isolata», osserva l’ex deputata riformista Jamileh Kadivar , in esilio a Londra dal 2009. A Teheran tanti tirano un sospiro di sollievo, di certo nessuno prova simpatia per Trump.

Due le mosse, se volesse veramente aiutare gli iraniani: dovrebbe rimuoverli dal decreto contro i musulmani – il cui obiettivo è evitare che sul territorio americano entrino potenziali terroristi – perché gli iraniani non hanno mai commesso un atto terroristico negli Stati Uniti d’America e stanno invece dando un contributo importante alla loro società ed economia; e dovrebbe rimuovere le sanzioni che limitano l’esportazione in Iran di tecnologia nelle telecomunicazioni che garantisce maggiore riservatezza agli utenti. Penso a Twitter, che in Europa permette all’utente di identificarsi inserendo il numero di cellulare e poi un codice di verifica ricevuto con sms. Ma che in Iran non è disponibile.