L’Europa che si occupa di economia o che discute di vaccini è molto diversa da quella che affronta temi spinosi come l’immigrazione. Sulle prime due questioni si dibatte e si litiga ma alla fine trovare un accordo che vada bene a tutti, o quasi, non è impossibile. Ma sui secondi si rischia di andare a sbattere contro il muro che da anni hanno sollevato molte capitali europee.

Mario Draghi l’ha capito ieri al termine del consiglio europeo nel quale ha provato a spiegare che occorre un cambio di passo rispetto a come i 27 hanno affrontato l’emergenza migranti fino a oggi. E in particolare la questione dei ricollocamenti tra gli Stati membri: «Deve esserci un accordo più efficace, la pura volontarietà ha dimostrato di essere abbastanza inefficace», spiega al termine del vertice. Il premier parla con negli occhi le immagini terribili diffuse dalla ong Open Arms dei cadaveri di bambini sulla spiaggia di Zuwara, in Libia.

Immagini che giustamente definisce «inaccettabili» ma che non sembrano riuscire a spingere i capi di Stato e di governo, al di là della solidarietà mostrata anche in passato di fronte ad altre tragedie del Mediterraneo, fino a prendere decisioni più coraggiose come varare una missione europea di ricerca e soccorso oppure aprire all’accoglienza di quanti sbarcano sulle nostre coste. Unica concessione: accettare di discutere di immigrazione nel prossimo vertice che si terrà a giugno, l’ultimo prima dell’estate. «I primi passi sembrano dimostrare una certa consapevolezza che occorre una risposta solidale non indifferente», afferma il premier prendendo atto della disponibilità dimostrata. Però poi ammette che «per ora sappiamo che saremo da soli fino al prossimo consiglio europeo. Sta a tutti noi prepararlo bene».

Ecco, se vorrà portare a casa qualche risultato l’Italia farà bene a preparare bene il prossimo vertice. I rischi che si concluda con un niente di fatto sono infatti reali e non solo perché il solito Viktor Orbán ha già chiarito che lui vuole «proteggere le famiglie ungheresi». Ma anche perché un leader non certo ostile alle posizioni italiane come Emmanuel Macron vede difficile la possibilità di un’intesa tra i 27: «Mentiremmo a noi stessi se dicessimo che a giugno risolveremmo il pacchetto migratorio in tutta la sua totalità. I disaccordi sono ancora troppo forti e il tema deve essere preparato» avverte il presidente francese.

Qualche apertura comunque non è mancata: «La volontà di venirci incontro c’è, perlomeno a parole», dice Draghi. Tra i Paesi più sensibili ci sono Francia e Germania che con l’Italia potrebbero costituire l’impalcatura di una riedizione del patto di Malta del 2019, con una serie di Stati che accettano di accogliere i migranti. Magari prevedendo un meccanismo di ricollocamenti obbligatorio e non più su base volontaria. Il rischio è quello però di creare una seconda Europa: «Si può individuare un sottoinsieme di Paesi che si aiutano», spiega infatti il premier.