Una mossa «cosmetica», «troppo poco, troppo tardi», osservano tanti autori di Substack a proposito della decisione della piattaforma nata nel 2017 – che ospita newsletter, molte delle quali a pagamento – di rimuovere cinque pubblicazioni semisconosciute che promuovono contenuti nazisti.

La polemica era iniziata lo scorso novembre – ma già nel 2021 molti autori e autrici Lgbtq avevano lasciato la piattaforma su cui pullulavano contenuti d’odio contro la comunità – quando su The Atlantic Jonathan M. Katz ha pubblicato un resoconto di come Substack ospiti «un gran numero di newsletter di suprematismo bianco, neo-Confederate ed esplicitamente naziste». Fra queste, anche quella di Richard Spencer, fra gli organizzatori della manifestazione di Charlottesville del 2017 – Unite the Right – dove venne uccisa l’attivista antifascista Heather Heyer.

A scatenare la protesta di alcuni autori della piattaforma (che incassa il 10% delle sottoscrizioni ) è stata però la risposta all’articolo di Katz del Ceo di Substack Hamish McKenzie, in cui ha rivendicato la policy di «rispetto della libertà di parola» che negli anni, e specialmente dopo la decisione di non moderare i contenuti complottisti sul Covid, ha attirato su Substack tantissime figure con un ampio seguito provenienti dalla destra – fino a quella più estrema. Come osserva il giornalista Casey Newton (autore della newsletter Platformer), Substack non può rifugiarsi nella narrativa per cui sarebbe solo un’«infrastruttura» che ospita contenuti, dal momento in cui come altri social network ha un algoritmo di raccomandazione che propone le newsletter agli utenti.

«Sono state le raccomandazioni su Twitter, Facebook e YouTube che hanno contribuito a trasformare Alex Jones da complottista marginale a colosso in grado di terrorizzare delle famiglie fino a farle fuggire dalle proprie case». Proprio Newton ha guidato la rivolta degli autori di Substack che hanno minacciato la piattaforma di andarsene in massa se non fosse intervenuta. Da lì la mossa «cosmetica»: rimuovere cinque piccole newsletter a fronte dei colossi della destra estrema che restano al loro posto. La piattaforma ha aggiunto inoltre che non comincerà a sorvegliare attivamente i contenuti, ma si limiterà a prendere in considerazione le segnalazioni dei propri autori, demandando di fatto a loro la moderazione (e riservandosi di ignorarla). «Poco più di una mossa di pubbliche relazioni – ha detto l’autrice della newsletter Disconnect Paris Marx al Washington Post confermando la sua decisione di abbandonare la piattaforma – per tentare di lasciarsi alle spalle questa controversia».