Dopo i “criminali” stranieri, i senzatetto. Dal primo gennaio prossimo, una volta compiuto il periodo di transizione post-Brexit, gli appartenenti a entrambe le categorie che non godano dell’invidiabile privilegio di essere sudditi della corona saranno deportati – sì, deportati – nei rispettivi paesi di origine. O sarà loro vietato l’ingresso nel paese. È la nuova, umanitaria misura varata dalla titolare del dicastero dell’Interno Priti Patel: testè annunciata, attualmente al vaglio delle Camere e che sarà discussa il prossimo 4 novembre ai Comuni. L’ennesima stecca nella cacofonia sociale chiamata Brexit.

Poco importa che le misure saranno, a detta dello stesso ministero, applicate solo a coloro che rifiutino altri aiuti o si comportino ripetutamente in modo antisociale: che pratiche da seconda guerra mondiale come la deportazione (o il coprifuoco) diventino la “normalità” cui tutti agognano di questi tempi la dice lunga sulla tossicità etica e morale nella quale sguazzano i governi di tutta Europa, in un’epoca in cui l’economia recede e la pandemia galoppa. Tanto che viene da chiedersi come mai Patel e i suoi sgherri sprechino quest’inestimabile potenziale di manodopera gratuito anziché recludere i parassitari “continentali” nelle workhouses: sorta di galere dove si lavorava gratis e in cui erano molto pragmaticamente sbattuti i poveri ai bei tempi della “New” Poor Law (1834).

Il problema dell’essere senza fissa dimora, nel quinto paese più ricco del mondo, è endemico. Dei 300mila senza casa stimati nel 2017 dall’organizzazione umanitaria Shelter, circa 12mila sono quelli denominati dall’orrenda parola “barboni”: gente che dorme sdraiata su pezzi di cartone, sotto i viadotti, in automobili e negli autobus notturni. Cifre del 2019 riportate dal Guardian stabiliscono l’incidenza di senzatetto di origine europea nel paese al 22% (extraeuropea al 4%), mentre a Londra le percentuali sono rispettivamente del 42% e del 7%: un autentico bendidio per la propaganda sovranista al potere. Ecco dunque la misura totalitaria annunciata dalla ministra, che cade altresì a fagiuolo nel programma di sradicamento della homelessness del governo Johnson, ultimo della sfilza di governi tories cui si deve – in buona sostanza – lo stesso pastrocchio Brexit.

La loro politica economica e sociale non avrà creato il problema – quello dei senza casa nelle grandi città britanniche è endemico, va avanti da decenni e ha caratterizzato anche il lungo periodo a guida laburista, negli anni Novanta – ma l’ha violentemente esacerbato, soprattutto con l’austerity e la cronica mancanza di alloggi popolari, ripetutamente promessi e mai costruiti in proporzione sufficiente. Diventa quindi molto più facile demonizzare l’altro, nel lavoro come nella sua mancanza, e applicare bovinamente la discriminazione nazionalistica anche alla devianza sociale: un “prima i britannici” affibbiato ai lavoratori e ai disoccupati come ai “malviventi” e ai senza fissa dimora. Evitando a bella posta di agire sulle cause del problema, concentrandosi piuttosto sull’eliminazione della sua visibilità.

C’è dunque poco da meravigliarsi, figuriamoci indignarsi. Simili provvedimenti non sono soltanto in linea con il naufragio ormai irrimediabile del modello neoliberale. Sono l’evoluzione, pedissequa e prevedibile, della retorica che aveva portato colei che aveva preceduto Patel in quello stesso ministero: Theresa May e il suo, ormai famigerato, “ambiente ostile”. Un’ostilità che è ormai leitmotiv di queste società europee sempre più occhiute, ex-liberali, ex-liberiste, socialmente distanziate.