Trecentonovantaquattro diverse sedute di registrazione, settantacinque uscite discografiche e ventisei album da studio. Questi sono i numeri dell’ottuagenario Bobby Rush, il quale prosegue inossidabile il suo percorso musicale con una freschezza artistica e fisica da far invidia a molti colleghi ben più giovani di lui. Sitting On Top Of The Blues è il titolo che esplica bene l’essenza del nuovo disco, a tre anni da Porcupine Meat, con cui si aggiudicò il Grammy. Undici canzoni dove senza ripetere sé stesso, riesce a imporre nuovamente il proprio stile: «Sai, realizzare questo album – spiega Rush – è stata una delle cose più difficili della carriera. Dopo aver vinto un Grammy, provare a superarsi è impegnativo. Ma con l’aiuto dei miei musicisti, e dei co-produttori Vasti Jackson, Scott Billington e Patrick Hayes, ci siamo riusciti».

LE INTENZIONI si concretizzano da subito nell’apertura Hey Hey Bobby Rush, possente blues elettrico dove l’autore trae ispirazione dalla tradizione, spiegando come scrivere una vera e propria hit: «Ho trovato il riff di chitarra, pensando ad un vecchio brano di Howlin’ Wolf che ho modificato». L’ascolto del disco è una narrazione genuina e affascinante dei dettami della cultura afroamericana. Che brilli il suono acustico del Delta nella struggente ballata Recipe For Love o il groove sensuale di Pooky Poo e Bowlegged Woman, Rush è il griot migliore che si possa incontrare. I boogie (Bobby Rush Shuffle; Good Stuff) si alternano a passaggi quasi blues-funk (Get Out Of Here) garantendo varietà espressiva, il conversare con lui procede come di consueto, in modo mai banale: «Sai bene che sono in giro dagli anni cinquanta. All’inizio è stata davvero dura conciliare il lavoro nei campi di cotone con l’intenzione di entrare a tempo pieno nella musica. È stato bello riuscirci, partendo dai juke joint. Ripensandoci oggi, erano nottate davvero divertenti. C’era finalmente un sacco di cibo, cose come hot-dog e burro di arachidi, whiskey e tanta gente a ballare. Il pubblico era composto quasi sempre da afroamericani e dentro al chitlin circuit dove mi esibivo, suonavano musicisti come Little Walter, Muddy Waters, Junior Parker, Bobby Bland, B.B. King, James Brown, Little Richard, Ray Charles, John Lee Hooker, Fats Domino, Chuck Berry».

LE MEMORIE di ieri non hanno un sapore nostalgico, piuttosto sono un’occasione per ragionare sulla contemporaneità del Deep South nell’era Trump: «Le cose da una parte sono peggiorate e dall’altra sono rimaste uguali. Certo, rispetto a prima non abbiamo più un bagno ed una fontana per i neri ed uno per i bianchi. Non siamo più obbligati a comprare un panino da mangiare esclusivamente sul retro di un negozio. Abbiamo più opportunità di muoverci. Ma oggi come ieri siamo sottopagati per i nostri lavori ed il costo della vita è insormontabile. E poi accadono cose terribili. Come la profanazione della tomba di Emmett Till. Questo dimostra che la legge è cambiata, ma i cuori degli uomini non ancora. Ma un giorno succederà e noi speriamo e preghiamo per questo».