Come intitolava qualche giorno fa la Repubblica, «l’America democratica trova i suoi anticorpi», contro la «furia iconoclasta» della «folla inferocita» che minaccia i simboli e i monumenti e soffoca la libertà di parola nel paese di Donald Trump.

Il 1 luglio 2020, il Department of Homeland Security (il Dipartimento di sicurezza nazionale, creato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001) ha annunciato la costituzione di una task force speciale interdipartimentale incaricata di applicare la direttiva del presidente statunitense Donald Trump che invita a usare le forze dell’ordine in tutto il paese per «proteggere i monumenti storici, i luoghi di memoria, le statue e le proprietà federali».

La task force è entrata rapidamente in azione con tutto lo zelo necessario. A metà luglio, come scrive il New York Times, «agenti federali, in divisa mimetica e armamento tattico sono scesi nelle strade [di Portland, Oregon] scagliando gas lacrimogeni, insanguinando manifestanti e trascinandoli in vetture senza contrassegni». A Portland, la protesta aveva creato una zona autogestita, che è stata sia un esperimento di autogestione comunitaria, sia teatro di alcuni incidenti ed episodi di violenza prontamente amplificati dai media.

La minaccia effettivamente è grave: come ha spiegato Chad Wolfe, segretario del dipartimento di Homeland Security, «anarchici violenti hanno imbrattato con graffiti la facciata del tribunale della contea» e questo è un «atto contro l’America».  Gli agenti federali hanno preso molto sul serio il compito di riportare l’ordine nelle strade. Una delle persone prese nelle retate, Mark Pettibone, ha raccontato: «L’unica cosa che ho fatto è che camminavo su un marciapiedi al centro di Portland ed ero vestito di nero», quando è stato afferrato, caricato su un furgone, portato alla sede del tribunale federale e trattenuto per un’ora e mezza senza nessuna accusa e senza nessuna verbalizzazione (infatti i federali affermano che non gli risulta di averlo mai arrestato).

«Ero terrorizzato», ha detto: «Mi sembrava di stare in un film horror o di fantascienza, un romanzo di Philip K. Dick. Mi sentivo in trappola». Il rapper Ice Cube ha riassunto il clima di fantascienza horror in un tweet di cinque parole che cita un film: «Invasion of the Body Snatchers» – l’invasione dei ladri di corpi.  Le autorità locali hanno visto l’intervento militare dei federali come uno «sfacciato abuso di potere» (parole di Kate Brown, governatice dello stato dell’Oregon), un criminoso attentato ai diritti dei cittadini dello stato.

La ministra statale della giustizia, Ellen Rosenblum, ha annunciato che procederà penalmente nei confronti «delle violenze commesse da agenti federali non identificati contro manifestanti pacifici» e farà causa al Department of Homeland Security, alla polizia di confine e ad altre agenzie federali e i loro agenti per avere «violato i diritti civili dei cittadini dell’Oregon arrestandoli senza ragioni plausibili». Aggiunge Ellen Rosenblum: «Il governo federale ha scelto Portland per mettere in pratica le sue tattiche del terrore e impedire ai nostri cittadini di protestare contro la violenza della polizia e sostenere il movimento Black Lives Matter. Ogni americano dovrebbe essere disgustato quando succedono cose simili. Se questo può succedere qui a Portland, può succedere dovunque».

Non sarà facile identificare i responsabili. Gli agenti del Dipartimento di Homeland Security non sono tenuti a portare targhette nominative né a usare veicoli riconoscibili. Come si legge sul New York Times: «In America non esiste la polizia segreta. Cioè, non esisteva». Non ho notizie di prese di posizione bipartisan di intellettuali preoccupati né di editoriali pensosi sui migliori giornali italiani. Ma le statue sono al sicuro.