«Sciogliamo il partito democratico», l’allegra proposta è del presidente del partito democratico.

A quindici giorni dal tentativo di rilanciare in piazza l’azione del Pd – il segretario Marina ha convocato militanti ed elettori a Roma il 30 settembre – Matteo Orfini supera (a destra?) chiunque abbia suggerito in questi giorni di cambiare nome al partito per provare a uscire dalla crisi in cui lo ha lasciato la segreteria Renzi.
Orfini, che di Renzi è stato insieme spalla e guardiaspalle, ha una proposta più radicale e l’ha tenuta in serbo per l’inaugurazione a Roma di Left Wing, la festa della sua corrente. Cambiare il nome non basta, «stracciamo lo statuto del Pd, sciogliamolo e rifondiamolo», dice il presidente del partito. E aggiunge: «Mi rivolgo a tutti, basta con questa distinzione con la società civile, decidiamo insieme la linea politica e la leadership». Di questo appello non si apprezza il tasso di novità, dal momento che già da molti anni il Pd ha deciso di far scegliere il suo segretario non ai soli iscritti ma a tutti quelli che vogliono partecipare alle «primarie aperte». Ma Orfini va avanti. «Mettiamo insieme un pezzo di paese che non condivide le politiche di questo governo – propone – dobbiamo costruire una risposta dopo la sconfitta che sia all’altezza della sfida». E poi conclude: «Il partito com’è oggi non funziona».

La proposta, forse per via della serata semi festiva, forse perché non è facilissima da decifrare, cade un po’ nel vuoto nel Pd, malgrado la nota propensione alla polemica interna. Dall’entourage dell’unico candidato apertamente in corsa per diventare il nuovo segretario, Nicola Zingaretti, trapela una replica tra l’ironico e l’allarmato: «Pur di non far vincere Nicola sarebbero capaci persino di chiudere il Pd». E certamente l’uscita di Orfini deve inquadrarsi nella lenta marcia di avvicinamento al congresso, che rassegnatamente è stato collocato in qualche punto della prossima primavera. Comunque prima, garantisce due volte al giorno Martina, delle elezioni europee.

Manca ancora, però, l’elemento fondamentale di un congresso, la sfida. E manca perché non c’è il candidato di Renzi. Delrio si dichiara ancora non disponibile; essendo un renziano decisamente sui generis potrebbe rimescolare le carte anche nel campo che adesso sostiene Zingaretti. Ma perché dalla maggioranza attuale del partito venga fuori un possibile erede, occorre che l’ex segretario e presidente del Consiglio decida di collocarsi sullo sfondo. Al momento sta facendo il contrario.