Durante l’ultimo Superbowl è andato in onda uno spot affascinante: è un piccolo cortometraggio prodotto per una ditta di auto in cui Bruce Springsteen chiama a raccolta gli americani per cercare un nuovo punto di incontro dopo anni di divisioni sempre più violente, un nuovo terreno comune su cui costruire i “Reunited States of America.” Ed è proprio in questa direzione che sembra muoversi anche Renegades – Born in the U.S.A., nuovo podcast in otto puntate in esclusiva su Spotify, in cui la rockstar dialoga con il suo amico ed ex presidente Barack Obama, che è anche produttore della serie con la Higher Ground, casa di produzione che ha fondato con la moglie Michelle.

IL PRIMO PRESIDENTE afroamericano e la rockstar, che sembra sempre di più voler assumere un valore iconico simile a quello di Clint Eastwood sull’altro lato dello spettro politico, si raccontano davanti a un microfono nel fienile/studio del Boss, la House of a Thousand Guitars dell’ultimo album. Sembrerebbero due persone con pochissime cose in comune, ma non è così: in realtà sono più simili di quanto si possa immaginare, e il titolo stesso del podcast è un’indicazione. Tutti e due hanno vissuto un’infanzia in cui si sono sentiti dei renegades, dei diversi: Springsteen perché figlio di un operaio irlandese che soffriva di schizofrenia, Obama per la sua origine multietnica. Nelle prime puntate si parla delle rispettive famiglie, della scuola, della musica che ascoltavano e dell’importanza che ha assunto nelle rispettive vite. In diverse occasioni, Springsteen accenna alcune delle sue canzoni e, un paio di volte, anche Obama si esibisce con risultati discreti. E, inevitabilmente, i due si trovano ad affrontare il tema della razza, l’elefante nella stanza della storia degli Stat Uniti: dalle battute casualmente razziste che il giovane Obama doveva subire dal suo istruttore di tennis agli scontri di Freehold negli anni ’60 raccontati in My Hometown. C’è un passaggio significativo nella seconda puntata: parlando delle possibili reparations per i discendenti degli schiavi, Obama si dice d’accordo in linea di principio con l’idea, ma ritiene che, dal punto di vista pratico, sia un’iniziativa che al momento non ha alcuna speranza di successo e che, anzi, possa rivelarsi controproducente.

È DIFFICILE per una nazione confrontarsi in modo così diretto e duro con i peccati e i crimini del proprio passato. Questo contrasto tra idealismo e realtà dei fatti li riporta all’idea espressa dal reverendo King, che diceva che l’arco dell’universo morale tende verso la giustizia, ma che il suo percorso non è lineare, come dimostra il fatto che si è tornati a discutere del fatto che nazisti dichiarati potessero tranquillamente manifestare per le strade. Quello che emerge è l’amicizia tra i due, che sembra essere davvero sincera e la voglia, altrettanto sincera di provare ad avvicinare due mondi apparentemente lontani e costruire davvero quel terreno comune da cui iniziare la ricostruzione di un paese lacerato.