In un nuovo discorso alla nazione, ieri pomeriggio il premier spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato che il governo chiederà un prolungamento di altri quindici giorni (fino al 26 aprile) dello stato di emergenza. Ma il discorso, pieno di retorica, patriottismo e pennellate personali, conteneva anche una serie di notizie cautamente ottimiste.

PROPRIO mentre il Regno Unito segnava un record di decessi (708, più 20% rispetto al giorno prima, fra cui il più giovane inglese: un bimbo di 5 anni) con un trend nettamente in crescita, la Spagna sta entrando in una fase di rallentamento che sembra confermarsi: i morti sono sempre troppi (809), ma sono meno che qualsiasi giornata dell’ultima settimana e il tasso di contagio ormai è attorno a 1 (cioè ogni persona infetta ne contagia un’altra in media). Uno degli obiettivi del confinamento era proprio quello di ridurre questo tasso a meno di 1, e l’obiettivo sembra vicino. Sotto l’1, i pronto soccorsi e le terapie intensive potrebbero iniziare a respirare. Il virus non scomparirà, ma il picco della curva potrebbe essere davvero a portata di mano.

E infatti il secondo messaggio del presidente socialista è che l’intenzione del governo è mantenere fino a Pasqua il blocco di tutte le attività economiche decretato il 30 marzo per poi (sempre che i dati continuino a confermare il rallentamento) ritornare gradualmente allo stato precedente, cioè tutti confinati a casa ma le attività produttive possono riprendere (soprattutto la grande industria e le costruzioni).

ERA IL PIANO espresso il 30 marzo dal governo: «allungare» le vacanze di Pasqua per mantenere la mobilità al livello di un fine settimana (bassissimo) per due settimane. Permesso obbligatorio per tutti i lavoratori, che dovranno recuperare gradualmente le ore non lavorate entro la fine dell’anno. Ma – lo ha chiarito lo stesso capo del governo – lo stato di emergenza continuerà anche dopo il 26 aprile: «Comprendo quanto è difficile prolungare altre due settimane questo sforzo e sacrificio», ha detto. L’intenzione però è quella di rilassare progressivamente le misure di confinamento a maggio, sempre che tutto vada bene. Da settimane, ha spiegato, il governo sta predisponendo la seconda fase dopo questa emergenza, in cui lentamente riprenderanno le attività economiche e sociali.

SÁNCHEZ, tra gli altri, ha lodato il lavoro dei ricercatori e delle ricercatrici e ha chiarito che prima di prendere decisioni consulta gli esperti: «Sono giorni molto difficili per tutti, che mettono a prova la nostra serenità – ha confessato – giorni frenetici che ci obbligano a prendere decisioni impensabili» e senza avere certezze scientifiche. «Per molti, sono i giorni più difficili della nostra vita». Ma l’intenzione è quella di lasciare ai presidenti o alle presidenti («magari», ha detto) «che verranno dopo di me degli strumenti migliori per affrontare la prossima pandemia»: chissà che davvero stavolta la ricerca e la prevenzione diventino priorità di stato.

Ha poi chiarito che il mondo non sarà quello di prima, e – con la ripresa economica ben chiara in testa – ha chiesto di rieditare «i Patti della Moncloa» del 1977, il primo grande accordo fra tutti i partiti e le parti sociali per affrontare la crisi economica lasciata dal regime franchista e che la nuova democrazia si accingeva ad affrontare. «Il mondo non sarà né come quello di ieri, né come quello dell’altro ieri, senza misure di protezione collettiva. Non ci sono vie d’uscite egoiste, né soluzioni individuali. Siamo deboli separatamente ma la nostra forza viene dal poter contare l’uno sull’altro», ha affermato.

E poi ha parlato di Europa. «Se la Ue esiste è proprio per affrontare crisi come questa», ha ricordato. «Lo abbiamo fatto dopo la seconda guerra mondiale e dobbiamo farlo ora: è la più grande crisi della nostra vita. Ci giochiamo la forza o la credibilità del progetto europeo».