Messa di requiem per il bipartitismo, parte prima: elezioni amministrative. A pochi mesi delle politiche di novembre, tredici regioni e più di 8mila comuni spagnoli sono chiamati oggi alle urne; e ancor prima di conoscere i risultati del voto, un dato è già chiaro, anticipato dai sondaggi degli ultimi mesi: il duopolio Pp-Psoe, che ha segnato la storia democratica del paese, si è sgretolato sotto la spinta inesorabile di Podemos e Ciudadanos.

Soffia dunque una salutare brezza di rinnovamento sulla penisola iberica, che l’anemometro elettorale traduce in un dato perentorio: se alle politiche del 2011 il Pp e il Psoe rastrellarono insieme il 75% dei voti, il pronostico per il voto generale del prossimo novembre sfiora appena il 50%. Su scala municipale e regionale il panorama è più frastagliato, anche se la tendenza – nonostante Rajoy abbia agitato lo spauracchio del caos contro l’ordine e la ripresa – è la stessa: ovunque Podemos e Ciudadanos irrompono con prepotenza a scapito di popolari e socialisti, che saranno costretti – fatto inedito – a tessere alleanze con gli ultimi arrivati, persino nelle regioni governate finora con maggioranza assoluta.

Il precedente dell’Andalusia (al voto a marzo e tuttora senza governo per mancanza di accordi tra i socialisti, maggioranza relativa, e gli altri partiti), fa presagire che le trattative saranno anche altrove spigolose: il discorso anti-casta di Podemos e Ciudadanos è a priori poco compatibile con intese con la vecchia guardia politica, anche se lo scenario che si profila obbligherà a geometrie politiche poligonali, a cui la Spagna è poco abituata.

Anche dal punto di vista sociologico e demografico, il voto di oggi darà indicazioni importanti: secondo i sondaggi (dati Metroscopia) la fascia più giovane della popolazione voterà i partiti emergenti: il 17% degli elettori tra 18 e 34 anni appoggerà Podemos; poco più del 13 il Psoe e il 12,5% Ciudadanos; al Pp solo il 10% dei voti. La situazione si ribalta tra gli over 65: il 22% voterà Pp, il 16% i socialisti, mentre Podemos e Ciudadanos raggiungerebbero rispettivamente un 9,7 e un 7,5%. I partiti emergenti sarebbero inoltre più forti nelle realtà urbane, mentre le sigle tradizionali evidenziano una maggior penetrazione nelle zone rurali.

Altra questione è il posizionamento ideologico dell’elettorato: su una scala da zero (estrema sinistra) a dieci (estrema destra) gli spagnoli si attestano su un 4,7 che sposta il baricentro del paese verso il centrosinistra.

Per sapere se i numeri corrispondono alla realtà, bisognerà tenere d’occhio alcuni cruciali banchi di prova. A livello regionale sarà fondamentale il risultato delle roccaforti storiche del Pp: Castilla la Mancha, Comunidad Valenciana, e Comunidad de Madrid.

Un passo falso del Pp in questi feudi potrebbe essere il preludio di una storica disfatta elettorale alle politiche del prossimo novembre. Nella regione di Madrid, peraltro, la corsa alla presidenza è particolarmente avvincente, con la sinistra tradizionale che schiera alcuni tra i suoi migliori candidati: il filosofo Ángel Gabilondo per il Psoe e il poeta Luis García Montero per Izquierda Unida. A livello comunale le battaglie più decisive e più incerte si svolgono a Barcellona e nella capitale.

A Madrid i cittadini sceglieranno tra due modelli di gestione e due personalità completamente opposte: Esperanza Aguirre, ultraliberale soprannominata la lady di ferro spagnola, già presidente della regione, candidata sindaco per il Pp; e Manuela Carmena, ex giudice progressista, a capo della lista Ahora Madrid (che comprende Podemos e Ganemos Madrid ed Equo, ma non Iu).

Nella città catalana, il faccia a faccia è tra la piattaforma Barcelona en comú (Podemos più Iu più i catalani di Icv-Euia) dell’ex leader della Piattaforma contro gli sfratti Ada Colau e l’attuale sindaco dei democristiani di Convergència i Unió Xavier Trias.