Approvato dalla militanza con maggioranze schiaccianti, l’accordo per un governo di coalizione fra le sinistre, firmato dopo le elezioni, da Pedro Sánchez e Pablo Iglesias. Il 92% dei partecipanti del Psoe, il 96,8% di Podemos, il 94% di catalane/i di Catalunya en comú di Ada Colau e l’88% di Izquierda Unida.

Il pressoché unanime appoggio, e in particolare quello della base socialista, rende l’intesa quasi irreversibile, a meno di giravolte improvvise, mai da escludere. Sánchez e il suo gruppo dirigente, negli ultimi mesi, sono stati particolarmente ondivaghi, ma questa volta appare difficile un nuovo cambio di alleanze, con buona pace della destra interna del partito e di quei poteri forti, che in questi giorni continuano a bersagliare l’accordo con Unidas Podemos.

La Ceoe, rappresentanza della comunità imprenditoriale spagnola, ha chiesto a Psoe, Pp e Ciudadanos di trovare una soluzione per evitare un governo con Unidas Podemos, ribadendo che piuttosto sarebbero preferibili nuove elezioni.

Oltre le pressioni interne al Psoe o quelle più consistenti degli interessi minacciati dalle sinistre, sono proprio le destre a rendere impraticabile una alternativa al governo progressista. Non si intravedono nel PP, né in Ciudadanos, segnali di riconversione al centro, se non al prezzo di una nuova destituzione di Sánchez. Si spostano ancora più a destra, più subalterne a Vox, partito franchista, omofobo e antifemminista. I popolari rifiutano di negoziare un cordone sanitario, come richiesto dal Psoe, per escludere il partito di estrema destra dal più alto organo di governo della Camera, come nel caso di altri paesi europei.

Un patto di governo senza alternativa possibile non significa, però, che la strada per formare l’esecutivo sia ora in discesa. Non si può fare un governo progressista, di coalizione, senza l’astensione dei repubblicani di Erc, partito indipendentista catalano.

La strategia dei socialisti sarebbe di offrire un nuovo sistema di finanziamento delle autonomie, rivendicazione di base degli indipendentisti, un sostanziale aumento degli investimenti statali nei bilanci catalani e la revoca dei ricorsi giudiziari alle leggi sociali, come quelle che incidono sulla povertà energetica e sulle situazioni di emergenza legate all’edilizia abitativa.

Timide proposte politiche ed economiche, che provano ad andare oltre l’investitura che Sánchez vorrebbe ottenere prima di Natale. Questa sarebbe l’idea del Psoe per riportare una parte dell’indipendentismo, segnatamente i repubblicani di Erc, fuori da decisioni unilaterali. Poco e non convince, in questo scenario, il silenzio e la delega fatta ai socialisti da Unidas Podemos, sperando che Sánchez decida di seguire i socialisti catalani, che ripropongono la plurinazionalità, e non chi chiede l’applicazione del 155 e la repressione.

Ma altrettanto decisivo, per contribuire alla soluzione della crisi territoriale, sarebbe non separarla dal progetto di cambiamento che l’accordo prefigura, con quei dieci punti imprescindibili su cui si concentrano le risposte alle principali sfide che la società spagnola, nel suo insieme, deve affrontare. Al dialogo con tutti i catalani deve cioè presentarsi una Spagna che metta mano alla profonda crisi ambientale e sociale in cui è immersa, Catalogna compresa.

Trasformare le buone intenzioni in azioni di governo significa stabilire un ordine di importanza dei problemi del paese, rovesciando in maniera convinta il paradigma finora seguito, per cui il rilancio della crescita economica sarebbe la chiave per ripristinare diritti e giustizia sociale e anche per avviare, magicamente, una transizione ecologica.

Sánchez inaugura il vertice del clima a Madrid, ma deve smettere di inseguire quella crescita senza benessere collettivo finora invocata non solo dalle destre liberiste, ma anche dai socialisti.

Non basta cioè inventarsi un governo. Ora è necessario costruire una maggioranza che faccia del suo impegno a contrastare l’emergenza climatica e la devastazione ambientale la priorità del suo agire e il modo in cui risponde alla domanda di lavoro, di diritti e di libertà che chiede la Spagna.