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Spagna introversa, ma l’«altra Europa» non può attendere

Spagna introversa, ma l’«altra Europa» non può attendereMerkel e Juncker all'ultimo vertice europeo a La Valletta – LaPresse

L'analisi Dopo Grecia e Portogallo, Berlino non può sopportare un terzo paese con un'agenda diversa. Ma negli ultimi mesi, va purtroppo riconosciuto, in Spagna la ricerca di un’«altra Europa» ha perso slancio

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 22 dicembre 2015

La Commissione europea, attraverso la portavoce Mina Andreeva, si è congratulata ieri con il premier uscente Rajoy «per avere ottenuto il numero maggiore di seggi». Una formula prudente che è un abile esercizio di equilibrismo diplomatico: il Pp «ha vinto», ma solo un po’.

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, non è un mistero che a Bruxelles tifino per la continuità e vogliano prendersi una rivincita per quel che è accaduto in Portogallo, dove il governo conservatore uscente è stato scalzato da un’alleanza anti-austerità delle sinistre. Nonostante il partito conservatore dell’ex premier Passos Coelho fosse stato il più votato.

La narrazione dell’austerità «che funziona» ed è «gradita dagli elettori» ha dunque vitale bisogno che a Madrid resti in sella il Pp. Magari con l’aiuto del Psoe, secondo uno schema che ricorderebbe le grandi coalizioni al governo della Germania e della stessa Ue.

A Berlino tifano per la grosse Koalition iberica, formula che terrebbe lontano dal potere i piantagrane di Podemos: l’obiettivo numero uno di Merkel, ma anche della Spd, è quello di evitare che dopo Grecia e Portogallo ci sia anche un terzo Paese con un’agenda progressista.

Grosse preoccupazioni, per ora, la cancelliera tedesca e i suoi colleghi non dovrebbero averne: le probabilità che Podemos governi sono minime. Nonostante la grossa sberla al Pp, la lotta all’austerità non è al centro del dibattito spagnolo: il tema-chiave è quello «trasversale» dell’assetto territoriale e delle riforme costituzionali.

Negli ultimi mesi, va purtroppo riconosciuto, in Spagna la ricerca di un’«altra Europa» ha perso slancio.

Visto da un’ottica continentale, il bilancio delle elezioni di domenica scorsa è, dunque, in chiaroscuro. Gli elettori non hanno certo premiato i sostenitori dell’austerity, ma dall’altro lato non c’è stato nemmeno un ribaltamento paragonabile a quello dello scorso gennaio con la vittoria di Syriza in Grecia.

Madrid non acquisirà quindi la centralità che è stata di Atene, almeno fino agli eventi della drammatica estate. Nessun passaggio di testimone: per il Paese iberico non si preannuncia un ruolo di primo piano in Europa, bensì un periodo di introspezione, alla ricerca di una difficile soluzione al rebus dell’assetto territoriale dello stato, fra spinte indipendentiste e neo-centraliste.

L’auspicio, per chi osserva «da fuori» e si batte per la fine delle politiche neoliberiste, è che Podemos regga l’urto delle contraddizioni dei primi mesi di vita parlamentare, e riesca a riportare al centro del dibattito pubblico le ragioni che stanno alla base della sua nascita e del suo successo. Un modo per farlo sarà accompagnare gli sforzi del governo portoghese di sottrarsi alla troika, e dare rilievo politico all’opera delle amministrazioni comunali «di cambiamento», a partire da Madrid e Barcellona.

Il voto di domenica, da questo punto di vista, è confortante: dove governano Manuela Carmena e Ada Colau i risultati sono molto buoni. L’austerità si può battere anche dalle città.

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