La Spagna, letteralmente travolta dalla seconda ondata di contagi, annaspa nell’emergenza sanitaria e nel caos politico. Durante lo scorso fine settimana sono stati registrati quasi 38mila nuovi infetti, che innalzano fino alla soglia del milione il numero totale di casi accertati dall’inizio della pandemia e a 34mila il computo dei decessi (459 nell’ultima settimana). La media nazionale è di 312 contagi per ogni 100.000 persone con picchi in Navarra (intorno ai 900), in Catalogna, nuovo focolaio nazionale che concentra il 23% dei nuovi contagi e ha imposto la chiusura di bar e ristoranti, e Madrid che resta confinata fino a nuovo ordine. In aumento anche i ricoveri in terapia intensiva, anche se, secondo fonti dell’ospedale Gregorio Marañón (uno dei più grandi della capitale) la situazione non è al momento allarmante.

E proprio a Madrid, una delle zone più falcidiate dal Covid, si consuma il braccio di ferro tra il governo centrale e quello regionale, che riproduce su scala locale la tensione, altissima, tra la coalizione di governo a maggioranza socialista guidato da Pedro Sánchez e l’opposizione dei popolari: dopo lo scontro sull’imposizione dello stato d’allarme che ha consentito all’esecutivo di sigillare i confini municipali di Madrid contro il parere delle amministrazioni locali, è di nuovo polemica sulla possibile istituzione di un coprifuoco a livello nazionale dalle 12 fino alle 6. I popolari appoggiano la misura ma rifiutano lo stato di emergenza (unico appiglio legale alla limitazione della libertà di movimento), che esautorerebbe le regioni, soprattutto Madrid e le altre in mano ai popolari, dalle loro competenza e prerogative lasciando campo aperto al governo centrale.

Il tutto mentre il Consiglio dei ministri si affanna per cercare un difficile consenso sulla legge finanziaria – cruciale per dare ossigeno alle fasce della popolazione più colpite economicamente, ma più volte sfumato per divergenze tra i soci di governo Podemos e Psoe – e si prepara all’offensiva dell’estrema destra di Vox, che ha fissato per stamattina il dibattito parlamentare in cui verrà proposta una mozione di sfiducia a Sánchez: salvo clamorose sorprese, l’iniziativa è destinata a cadere nel nulla (manca l’appoggio del Pp), ma rende l’idea del clima di tensione che si respira in Spagna, dove l’epidemia è diventata il terreno di un aspro scontro tra destre e governo.

Con l’acuirsi della seconda ondata arrivano anche forti e preoccupanti segni di insofferenza da parte dei collettivi più esposti agli effetti collaterali del virus: ai medici catalani, che hanno scioperato la settimana scorsa, si sono aggiunti quelli madrileni che protesteranno a partire dal 27 contro «una situazione insostenibile di precarietà, di sovraccarico di lavoro e insufficienza di personale, che rendono difficile l’accesso l’assistenza medica ordinaria». Nell’emergenza affiorano nitidamente i risultati di decenni di politiche di tagli al sistema sanitario perpetrati sia su scala nazionale, sia, soprattutto, nella regione di Madrid, da venticinque anni amministrata secondo le ricette neoliberiste del Pp.

Non va meglio ai docenti, anch’essi vessati dalle cesoie dei vari governi, in numero insufficiente, precarizzati e «stanchi dei continui cambi al protocollo di prevenzione e di un modello semipresenziale che non funziona». All’emergenza sanitaria corrisponde, sempre più evidente, un’uguale e crescente insofferenza che inizia a calare in tutti gli strati della società: mentre gli effetti diretti della pandemia sono fotografati  mpietosamente dai dati, il contraccolpo sociale e umano in un paese già castigato dalla crisi e cronicamente afflitto dalla disoccupazione è difficile da stimare, ma si preannuncia durissimo.