Manca poco più di un mese al secondo giro di elezioni in Spagna. Ma la coalizione fra Podemos e Iu potrebbe modificare il panorama politico in maniera radicale. Abbiamo chiesto lumi al politologo Pablo Simón, classe 1985, professore all’università di Madrid ed editore del blog Politikon. «Dal 20 dicembre sono accadute cose importanti, spiega. innanzitutto la frattura dell’offerta politica. Un terzo dei voti è andato a partiti che non avevano rappresentazione, una novità a livello europeo».

Che succederà il 26 giugno?
Tre cose. La prima, una partecipazione inferiore. Molte persone sono arrabbiate per la ripetizione elettorale. Stimo che cadrà fra il 3 e il 6%. Di solito si astiene più la sinistra. Ma la presenza della nuova coalizione potrebbe generare movimenti a sinistra e frenare la caduta. La seconda è che il panorama di governabilità sarà più chiaro. Ci possiamo aspettare che il 90% del voto si mantenga, ma basterà quel 10% nelle province giuste per ottenere quegli 8-12 seggi necessari perché il blocco di destra o di sinistra possa formare un governo. Già oggi Psoe-Podemos-Iu hanno un milione di voti in più di Pp-Ciudadanos. Ma l’80% dei voti di Iu si perde perché fuori da Madrid non ha eletto nessuno. In queste elezioni non succederà. In più gli spagnoli decidono sempre più tardi il voto: nelle ultime elezioni uno su 4 ha deciso il voto l’ultima settimana. La campagna elettorale muoverà circa un 15% dei voti. Il terzo fattore è che i partiti sanno che non possono andare alle terze elezioni: i negoziati saranno più semplici.

La posizione del Psoe sarà chiave.
Indipendentemente dai voti ottenuti, se arriva secondo in seggi dopo il Pp e il blocco di sinistra ha la maggioranza, il governo ci sarà, e sarà con Podemos. Se invece arrivano terzi, la cosa più probabile è che la decisione non la prenderà Sánchez perché la tensione interna sarà tale da eliminarlo. In questo caso ci saranno pressioni perché i socialisti si astengano permettendo un governo Pp-Ciudadanos. Sempre che i voti socialisti servano: se Pp-C fossero autonomi, il Psoe potrebbe schivare la palla. Ma potrebbe anche decidere di lasciare formare il governo a Podemos, che comunque avrà l’appoggio dei nazionalisti catalani e baschi con la promessa del referendum. I socialisti subiranno una lacerazione interna, anche se non sparirà come il Pasok perché ha ancora molto potere territoriale.

Faranno una campagna più conservatrice stavolta?
L’obiettivo ora è solidificare il voto perché non possono pescare alla loro sinistra, soprattutto dopo il patto con C. Ma sarà molto difficile. Forse l’alleanza P e Iu porterà meno voti che la somma dei due, ma non molti meno. I problemi del Psoe non si risolvono solo con un cambio di facce. Devono ancora fare una riflessione su dove vogliono andare come partito.

L’importanza del problema territoriale?
Podemos ha messo nell’agenda nazionale un elemento programmatico che prima non c’era, il che cambia tutto lo scenario. Ma fuori della Catalogna se ne parlerà poco. Ci sono due elementi del problema. Uno è il procés, tutto il dibattito sull’indipendenza retroalimentato dalle élite catalane e spagnole. Piaccia o no, comunque esiste e bisogna gestirlo. L’altro è il tema dell’autodeterminazione. La costituzione non permette referendum vincolanti, ma uno non vincolante sì. È chiaro ormai che bisogna riformare il modello territoriale e che qualcosa in Catalogna bisogna votarlo. Cosa, lo dirà il nuovo governo. Però è chiaro che bisogna offrire un’alternativa all’indipendenza. Aver lasciato marcire la questione non è stata una buona idea.

Perché è fallita la trattativa perché Psoe e Podemos andassero assieme al Senato?
Facciamo chiarezza: il Senato in Spagna serve a poco, può ritardare un po’ l’approvazione delle leggi. E sì, vota la riforma costituzionale. Ma davvero qualcuno crede che si possa fare una riforma costituzionale senza il Pp? Sulla trattativa, è chiaro che Podemos filtra il negoziato nazionale per farlo saltare quando a livello locale già si stava arrivando ad accordi. L’idea è spingere il Psoe a destra e dire che non vuole fare patti con loro. I socialisti sono stati goffi nel rifiuto, e qui si capisce chi sa maneggiare bene la comunicazione e chi no.

La legge elettorale cambierà?
Certamente si aprirà il dibattito. Come sempre c’è da trovare l’equilibrio fra rappresentanza e governabilità. La mia preferenza? Una camera di 400 deputati (ora sono 350, ndr), circoscrizioni che abbiano tutte fra 8 e 12 seggi (ora vanno da 1 a 36 per provincia, ndr), un riequilibrio territoriale per evitare che le zone rurali pesino più di quelle urbane, liste con preferenze ma con un modello svedese in cui i deputati passano solo se hanno più dell’8% dei voti. Con questo modello si ottiene, nei fatti, una barriera per circoscrizione fra il 5 e l’8% che evita l’eccessiva frammentazione ma garantisce la rappresentanza territoriale. Credo che l’accordo andrà in questa direzione.