Soru contro Soru? Il padre della legge urbanistica salvacoste che viola lo spirito di quelle norme costruendo un albergo a cinque stelle a pochi metri dal mare (vedi il manifesto di ieri, ndr)? L’ex presidente della giunta regionale sarda non ci sta a passare per cementificatore e si difende rispondendo alle accuse.

Facciamo innanzitutto un po’ di storia. Come ci arriva lei a Funtanazza, la spiaggia sulla quale una sua società vorrebbe costruire un hotel ristrutturando una vecchia colonia marina?

Funtanazza l’ho acquistata nel 2003. Ero lontano dalla politica, la mia candidatura a governatore non esisteva, neppure come ipotesi. La Snam vendeva un tratto di territorio che aveva acquisito dall’Eni, ente al quale a sua volta il sito era stato ceduto dalla Società mineraria Montevecchio, che gestiva le miniere di Guspini, quando i pozzi per l’estrazione del carbone erano stati chiusi.

Da imprenditore e non da politico già allora la mia idea di turismo era radicalmente diversa da quella che sino ad allora si era affermata in Sardegna: orrende seconde case e uso selvaggio del territorio.

Da imprenditore la mia intenzione era quella di sperimentare un turismo diverso, restaurare il rudere della vecchia colonia e trasformarlo in un albergo attraverso un intervento non invasivo, riducendo le volumetrie e rispettando la tipologia architettonica della struttura preestistente.

 

Renato Soru

 

Poi però, sei mesi dopo l’acquisto di Funtanazza, lei è diventato governatore.

E da presidente della Regione Sardegna, sul turismo, ho detto ciò che avevo sempre detto prima e che, da imprenditore, avevo intenzione di realizzare a Funtanazza: no al consumo indiscriminato di suolo e crescita del settore compatibile con il rispetto del paesaggio e dell’ambiente.

Il Piano paesaggistico regionale, insomma…

Sì, il piano Paesaggistico regionale. Che non è fatto soltanto di norme che impediscono che sulle coste di costruisca. Non è soltanto vincoli. I vincoli stanno dentro un modello di crescita turistica, come dicevo, compatibile. Il Piano prevede per le zone di costa vergini, intatte, il vincolo totale: non si può costruire.

Ma è lo stesso Piano a stabilire che in altri tratti di litorale, dove preesistono strutture dismesse e spesso fatiscenti, queste possano essere, senza aumento di cubature, restaurate e/o ristrutturate, anche con destinazioni d’uso differenti da quelle originarie. Che è esattamente ciò che Riva di Scivu, la società da me acquistata da Snam, sta chiedendo di fare a Funtanazza.

Trasformare l’esistente senza aumento di cubature, come prevede e consente il Piano paesaggistico. Non c’è quindi nessun tradimento né della lettera né dello spirito delle norme di tutela.

Però a Funtanazza con un albergo da 35 mila metri cubi le cose, di fatto, cambierebbero.

Cambierebbe che in quel territorio verrebbe applicato un modello di sviluppo turistico non invasivo. Un modello che non soltanto non comporta aumenti di volumetrie ma, nel caso specifico, prevede esattamente il contrario. Le cubature attuali a Funtanazza, compreso tutto, anche i corpi esterni quasi sul mare e le piscine, sfiorano i 60 mila metri cubi.

Riva di Scivu propone un intervento che riduce i metri quadri a 35.000. I corpi esterni, a un passo dalla battigia, sarebbero eliminati. Così come anche l’ultimo piano dell’edificio centrale.

Ma Riva di Scivu propone l’abbattimento dell’intera struttura centrale. Della vecchia colonia non resterebbe nulla. Al suo posto sorgerebbe una copia. Un intervento molto pesante…

L’abbattimento è consigliato da una perizia tecnica che stabilisce che il vecchio edificio ha problemi strutturali che ne compromettono la stabilità. Se venisse ristrutturato senza abbatterlo, c’è il rischio che crolli. Soltanto questo è il problema.

Però non si può negare che sparirebbe un edificio che ha un suo pregio architettonico. E poi anche la memoria storica di quel luogo svanirebbe.

La memoria dei luoghi va conservata guardando al presente e al futuro. Quante miniere, nel mondo, sono state ristrutturate per farne parchi attrattivi per un turismo di qualità? In Sardegna abbiamo un Parco geominerario, quello del Sulcis, tra i più grandi d’Europa. E’ stato istituito, ma è rimasto sulla carta. Non abbiamo fatto niente per valorizzarlo. E l’Unesco, che prima aveva dato la tutela, l’ha tolta. Un danno enorme.

La memoria storica non si protegge lasciando che quanto il passato ci ha trasmesso vada in rovina. Lo si può recuperare al presente e al futuro, quel passato, in maniera intelligente.

Nel caso della zona mineraria sarda, novanta chilometri di litorale, lo si può recuperare applicando ai quei luoghi, ricchi di manufatti architettonici che possono essere restaurati non contro la legge ma secondo le procedure previste dal Piano paesaggistico, un modello di turismo responsabile ed ecocompatibile.