Non vuole perdere tempo Beppe Sala, «alla giunta ci sto lavorando, vogliamo fare in fretta» ha detto ieri alla prima uscita pubblica dopo il trionfo di lunedì sera. Del resto da Expo 2015 a oggi non ha mai smesso di muoversi e sentire il ritmo della città, a volte anche troppo, come nei giorni iniziali della pandemia quando diceva al mondo intero: «Milano non si ferma!». E invece Milano doveva fermarsi, come chiunque altro. Sala poi ammise l’errore e riuscì a risintonizzarsi con la città, soprattutto con quella parte che gli aveva dato fiducia. Oggi Sala è riuscito ad allargare quel consenso.

In una tornata elettorale dove il 53% dei milanesi non è andato a votare, Sala è riuscito a prendere 50 mila voti in più rispetto a cinque anni fa. «Lo dico anche con orgoglio di avere convinto con la mia proposta un quarto degli elettori in più» ha detto ieri. Rimandando al mittente l’accusa di essere un sindaco a metà: «Quello dell’astensione è un tema che non sta a casa mia. L’astensionismo è un tema, perché è chiaro che chi fa politica deve contare sul fatto che i cittadini sentano il diritto e il dovere di andare a votare, ma non sta a casa mia».

I numeri sulla contesa elettorale gli danno ragione, la destra in cinque anni è riuscita a perdere 75 mila voti, ma quel pezzo enorme di città che non è andato a votare racconta di una distanza tra popolo e governo sempre più profonda. Che posto avranno queste persone nella Milano che ha in testa Beppe Sala? L’analisi del voto quartiere per quartiere ci dirà dove l’astensione ha colpito di più, se nei quartieri ricchi o poveri, se in zone dove il comune ha avviato interventi di rigenerazione urbana oppure no. Una mappa da costruire per non allargare questa frattura sociale e non lasciare che altri raccolgano lì dove non si è seminato.

In queste elezioni c’era anche una partita nella partita: «il derby lista Sala-Pd». Sala voleva dimostrare al Pd la forza dei singoli candidati attivi nelle reti sociali, professionali, nei network su cui ha investito in campagna elettorale, il Pd che un partito solido conta più dei singoli. La scommessa è stata vinta da entrambi, i cinque consiglieri che entreranno a Palazzo Marino con la lista Sala, 9%, sono tutti espressione di quel vivace civismo milanese che Sala voleva intercettare, ma il 33% del Pd (più della somma di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) è stato il vero traino del trionfo del sindaco. Non a caso ieri Sala ha subito riconfermato come sua vicesindaca la donna più votata nel Pd, Anna Scavuzzo, 4.563 preferenze. Il più votato è stato l’assessore uscente all’urbanistica Piefrancesco Maran, 9.166 voti. Maran ha già fatto due mandati da assessore e Sala aveva detto di volere tripli mandati. In queste ore Maran parla molto delle elezioni regionali lombarde del 2023, potrebbe tentare il salto alla presidenza tra un anno e mezzo. Si parla tanto di crisi dei partiti, qua c’è un Pd che solido» ha detto ieri Maran. «Pensiamo che se le città vanno così è il momento per dimostrare che anche la Regione può cambiare. C’è un anno e mezzo per lavorarci e crediamo che sia una missione difficile ma per la prima volta possibile».

Queste elezioni milanesi dicono anche che l’onda verde europea è arrivata anche a Milano, e chissà se è un segnale che anticipa una tendenza nazionale. La lista dei Verdi, in coalizione con Sala, prende il 5,11% e fa entrare in consiglio comunale tre consiglieri. Guardando alle preferenze saranno l’evergreen milanese Carlo Monguzzi, l’ex co-portavoce nazionale dei Verdi Elena Grandi e la portavoce dei giovani europeisti verdi Francesca Cucchiara, classe 1993. Ai Verdi, salvo sorprese, andrà un assessorato e il posto che si libererà in consiglio comunale andrà al quarto più votato, Tommaso Gorini, giovane verde di zona 8 attivo nei movimenti per la giustizia climatica e ricercatore biotech.

Nei prossimi anni a Milano arriveranno le olimpiadi invernali e i miliardi degli immobiliaristi, i Verdi dovranno supportare la giunta e vigilare. «Saremo pungolo, ma il governo della città lo costruiremo insieme» dice Elena Grandi. «Il nostro risultato dà forza all’ecologismo, dobbiamo essere forti per collaborare con i governi a partire dalle città». È diventato irrilevante invece tutto ciò che sta a sinistra del Pd dentro e fuori la coalizione. Per la prima volta in consiglio comunale a Milano non ci saranno liste né della sinistra di governo, Milano Unita si è fermata all’1,56%, né dell’opposizione di Milano in Comune, 1,57%.