Tre milioni di persone abbandonano la classe media, per finire in una classe più bassa. È la Spagna di oggi, quella ancora in crisi, secondo i dati pubblicati dalla fondazione Bbva e dall’Istituto Valenziano di economia. Il titolo della ricerca Distribuzione del reddito, crisi economica e politiche redistributive indica già che qualcosa non deve aver funzionato nelle scelte di politica pubblica del governo delle destre. La ridistribuzione del reddito tra le famiglie non c’è stata, non come sarebbe servito. La perdita di occupazione, l’aumento del lavoro precario, di quello a tempo parziale perché non se ne trova uno per l’intera giornata, hanno impoverito gli spagnoli. Attribuire alla crisi questo vero e proprio disastro sociale non aiuta a individuare le responsabilità del peggioramento della qualità della vita di milioni di persone.

Non la crisi, ma le scelte politiche di chi governa l’Europa sono responsabili della macelleria sociale a cui è stata sottoposta la Spagna e, complessivamente, tutta l’Europa mediterranea. In questi anni governi di larghe intese fra destra e sinistra hanno obbedito ai neoliberisti di Bruxelles e alle loro richieste di obbligatorietà del pareggio di bilancio, da realizzare con il taglio delle prestazioni fondamentali dello stato sociale, con l’azzeramento dei diritti del lavoro e la sua precarizzazione e con una sistematica distruzione dell’ambiente.

Quei tre milioni di nuovi poveri racconta che chi ha governato la Spagna in questi anni non solo ha speso troppo, ma ha anche speso male, favorendo solo banchieri, finanza perversa e clientelismi di turno. Significativo è che lo stesso giorno in cui venivano diffusi questi dati la commissione europea chiedesse a destra e sinistra spagnole impegni precisi di nuovi pesanti tagli alla spesa sociale per riportare il bilancio nei parametri concordati con Bruxelles, per il 2016, sforati dal governo Rajoy per 10mila milioni di euro. La vera posta in gioco il prossimo 26 giugno, quando si ripeteranno le elezioni, è quale maggioranza di governo prevarrà: quella disposta a obbedire ancora alle richieste di Bruxelles o, al contrario, quella disposta a metterle in discussione.

Il Partito Popolare di Rajoy e la formazione Ciudadanos sono le forze politiche che vogliono continuare a obbedire ai diktat di Bruxelles e per questo hanno già deciso di rivedere i propri programmi. Altrettanto chiare sono le forze disposte a scardinarli: Podemos, con il sistema di alleanze con cui affrontò le elezioni del 20 dicembre scorso, che questa volta positivamente si estende a Izquierda Unida. Meno limpida la posizione del Psoe.

L’accordo con Ciudadanos e il conseguente rifiuto di costruire alleanze con Podemos e altre forze della sinistra, evidenziatosi nel tentativo del segretario socialista di dare un governo alla Spagna, sembra collocare anche il Psoe fra i partiti non disposti a opporsi ai tagli richiesti da Bruxelles. Ciò non significa che questa scelta sarà condivisa dall’elettorato socialista, riconfermando il Psoe come il principale partito della sinistra spagnola. Le possibilità che un no alle richieste di Bruxelles prevalgano e conquistino il governo in Spagna dipendono in larga parte dalla forza che l’elettorato darà all’alleanza appena trovata tra Podemos e Izquierda Unida. Strappare questo risultato farebbe esplodere la contraddizione tra le scelte politiche moderate dell’attuale gruppo dirigente socialista e la voglia di cambiarle di una parte del suo elettorato, aprendo di fatto una crisi del Psoe che potrebbe indurlo a scelte meno moderate. D’altronde le ragioni per cambiare sono ogni giorno più evidenti. Continuare a fare da spalla alle forze conservatrici e di destra, come ovunque i socialisti hanno fatto in questi anni, non produce un ammorbidimento delle drammatiche conseguenze sociali delle scelte liberiste, ma al contrario distrugge i socialisti e soprattutto lascia alle destre autoritarie e razziste l’egemonia di una lotta alle evidenti ingiustizie di questa Europa degli affari e dei profitti di pochi.

Dopo la Grecia, la Spagna è l’unico paese in cui la protesta contro questa Europa si dirige verso forze di sinistra nuova, come Podemos, e non verso facili populismi. Naturalmente a poco vale conquistare la guida della sinistra se l’elettorato il 26 giugno prossimo non esprimerà una chiara maggioranza delle sinistre e una sconfitta delle destre. Forse non sarà facile, soprattutto per la delusione che ripetere le elezioni suscita proprio negli 11 milioni di persone che lo scorso dicembre avevano votato e quasi reso possibile una svolta. Rendere chiare le conseguenze sociali che una rinnovata obbedienza a Bruxelles produrrebbe può riaccendere la voglia di cambiamento.