Giustamente Alberto Asor Rosa, nel suo articolo di domenica scorsa, definisce l’appello firmato da autorevoli personalità e da migliaia di persone, comparso il primo maggio, come un sostegno seppure critico al governo.

Il suo ragionamento poggia sull’endiadi di necessità e di opportunità. L’attuale governo le incarnerebbe entrambe, solo che la prima starebbe prevalendo sulla seconda. La necessità poggerebbe sull’assenza di alternative all’attuale compagine governativa.

E qui sorge una prima obiezione.

La politica dovrebbe sempre evitare una simile assenza, non a caso celebrata invece nell’acronimo thatcheriano tina (There Is No Alternative, ndr). Né ritengo che chi non accetta lo stato di necessità, debba per forza chiedere le elezioni anticipate.

Non tanto e non solo perché questo avrebbe spianato la strada ad un’affermazione delle destre, quanto perché chi ritiene che questa legge elettorale sia profondamente viziata da incostituzionalità, non chiama alle elezioni anticipate, se non altro per ragioni di coerenza, e cerca invece e in primo luogo di fare di tutto perché si arrivi ad una nuova legge elettorale che non faccia a pugni con i principi costituzionali, come lo sarebbe una legge proporzionale che permettesse ai cittadini di scegliere chi li deve rappresentare. Cosa, sia detto qui per inciso, assai diversa da quella che si profila dagli accordi di maggioranza.

Il motivo dell’obiezione vuole essere più profondo.

Davvero l’esistenza di un’alternativa sta solo a livello di maggioranza parlamentare e di governo e non piuttosto nelle politiche che vengono condotte e praticate?

E la politica che vorremmo è solo praticabile dall’alto, ovvero occupando in maggiore o minore misura gli scranni governativi?

Non vi è forse in tutto ciò una sopravvalutazione del ruolo del governo rispetto ad altri possibili livelli nei quali agire la politica?

E comunque consentire ad un governo di nascere, restringendo quindi temporalmente il tempo della necessità, porta inevitabilmente a parteciparvi anima e corpo?

Quando invece vi sarebbe la possibilità di condizionare l’appoggio esterno al merito dei provvedimenti. Non è di questo che si spaventerebbero i fatidici mercati, allenati più di noi all’instabilità.

Una simile scelta, se condotta con accortezza, non metterebbe in discussione il tipo di maggioranza chiamata ad eleggere il successore di Mattarella.

Qualunque sia la risposta che si intende dare a queste domande non c’è dubbio che esse, certo non le sole, ci vengono riproposte proprio dalla terribile crisi pandemica ed economica.

So bene quanto sia complesso e articolato un giudizio sereno sul recente decreto del governo, ovvero la più grande manovra economica della storia repubblicana del nostro paese.

Eppure c’è un filo conduttore che tiene insieme questa operazione.

A differenza dei precedenti decreti, come il Cura Italia, sono qui evidenti gli effetti della pressione della Confindustria. La cancellazione definitiva della rata Irap viene già valorizzata dal nuovo presidente confindustriale Carlo Bonomi come un annuncio di una possibile riforma fiscale che pur senza cadere nelle volgarità da “miseria della filosofia” della flat tax, si propone di ridurre marcatamente il peso dell’imposizione fiscale sulle imprese in base al postulato nuovamente esplicitato che sono esse e non lo Stato a creare ricchezza e lavoro.

Allo stesso tempo la presenza del pubblico nella capitalizzazione delle imprese non dovrebbe mettere il naso nella loro governance, come del resto ha assicurato il ministro Gualtieri.

Dove la cerchiamo l’alternativa a queste politiche? Nelle nottate a Palazzo Chigi o in via XX Settembre, o nella ricostruzione di una capacità di mobilitazione e di lotta a partire dal livello sociale, perché l’agognata ripresa non avvenga nel nome di una restaurazione peggiorativa del passato e dei vecchi rapporti di forza?

E qui arriviamo al punto di cui lo stesso Asor Rosa giustamente si preoccupa.

Rispetto alla convenienza dello stare insieme, anche nei governi di necessità vi sono poi le opportunità che ne qualificano il segno, la direzione di marcia.

Ma ci vorrebbe una posizione politico-programmatica diversa che non si vede da nessuna parte. Eppure questa dovrebbe essere costruita fin dalla prima ora, proprio perché si tratta di una operazione complessa.

Ma perché questo accada bisognerebbe che il confronto e lo scontro politico non siano confinati, meglio ancora requisiti, nelle e tra le istituzioni.

Non dovrebbe accadere che lo scenario sia dominato da governo da un lato e governatori delle regioni dall’altro, quali massime proiezioni istituzionali delle rispettive forze politiche. Invece è quanto accade. Proprio perché si è dato per scontato che non vi fosse uno spazio, neppure potenziale, per un’opposizione di sinistra alla politica dell’attuale governo.