La mobilitazione sociale e sindacale, dopo l’estate, sta dando rappresentanza alle tante solitudini che la lunga crisi ha generato e sta costruendo un conflitto contro il Jobs Act, la cancellazione dell’articolo 18 e contro le politiche di un governo che cerca pervicacemente l’approvazione della Confindustria e lo scontro con i sindacati. A Squinzi piacciono «moltissimo» il Jobs Act e la manovra economica e l’ex direttore della Confindustria (ora deputato del Pd) Giampaolo Galli ha definito «straordinaria» la legge di stabilità. I superlativi si sprecano.

E infatti alle imprese Renzi in questo autunno ha dato tutto, e di più: contratti a tempo determinato senza limiti, libertà di licenziamento, sgravi Irap per tutti e la contribuzione per le nuove assunzioni. Con i sindacati Renzi si comporta come i conservatori degli anni ’80 (e come Berlusconi negli anni ’90): ne vuole ridurre peso e ruolo, non vuole parlarci: non c’è contrattazione possibile.

La novità di queste settimane è proprio però -sotto il peso della crisi- la ripresa della mobilitazione, del protagonismo sociale: la Fiom e la Cgil stanno trainando una iniziativa politica e sociale che ha il segno di una protesta più generale contro delle politiche economiche.

Con misure estemporanee, annunci e provvedimenti inefficaci- la politica economica del governo sta affondando il paese nella crisi (la disoccupazione è arrivata al 13,2%) senza costruire prospettive di rilancio dell’economia e del lavoro. La legge di stabilità non è espansiva, ma recessiva e restrittiva. La manifestazione della Cgil del 24 ottobre, gli scioperi della Fiom del 12 e del 17 novembre e il prossimo sciopero generale del 12 dicembre vanno proprio in quella direzione: la richiesta di un cambio di rotta radicale.

Questa mobilitazione sociale non trova ancora una rappresentanza politica. Anzi, la rappresentazione politica di questo sommovimento sociale e del lavoro è decisamente al di sotto della ricchezza e della novità che questo interpreta. Prevalgono ancora un politicismo ed un tatticismo esasperato (la “manovra politica”) che sembrano non tenere conto di quello che sta succedendo in questi mesi. La sinistra del Pd spera -vanamente- che Renzi si logori e non si sa bene cosa voglia fare. Sel afferma giustamente di volere andare oltre Sel, ma deve e può andare oltre il semplice allargamento dei confini che sarebbe una opzione non al altezza della mobilitazione oggi in campo. La lista Tsipras rischia di trasformarsi da spazio comune in un altro soggetto politico tra i tanti; se così fosse o venisse a determinarsi per inerzia si perderebbe il fondamentale stimolo di quella esperienza ad unire le forze. La manifestazione di Piazza Farnese a Roma non ha fugato queste preoccupazioni.

Una cosa è certa. Fiom e Cgil non devono essere tirate per la giacchetta. Le organizzazioni sindacali, Camusso e Landini, non possono essere utilizzati per risolvere un problema di rappresentanza politica a sinistra, che deve trovare le proprie strade. L’autonomia sociale e politica del sindacato è troppo preziosa per essere piegata alle ragioni, alle necessità, sacrosante, della costruzione di nuove soggettività politiche. Bisogna incontrarsi sui contenuti, nei luoghi dei conflitti con le soggettività protagoniste dell’opposizione al Jobs Act e alle politiche di austerità e del pareggio di bilancio. Ecco perché è importante l’appuntamento del prossimo del 18 dicembre quando Rodotà, Landini e Camusso parteciperanno a Roma (alle 17.30 alla sala Forum di via Rieti) ad una manifestazione per la raccolta di firme per il progetto di legge popolare per l’abrogazione del pareggio di bilancio in Costituzione (www.colpareggiociperdi.it).

Per riaprire una strada feconda e plurale della sinistra, per dare rappresentanza politica a questo ripresa della mobilitazione sociale, non servono scorciatoie politiciste, scaltre manovre parlamentari, nuovi posizionamenti nello scacchiere delle forze politiche date. Serve creare un terreno nuovo di aggregazione e di lievitazione di una nuova soggettività che non può essere il punto di incontro di quello che c’è stato in passato o la somma di ciò che resta, ma il punto di partenza di uno spazio che si apre al futuro di forze e leadership, di movimento, sindacali, associative- che si prendono il compito di archiviare il ventennio fallimentare di una sinistra che non ha saputo arginare la deriva liberista di cui stiamo ancora subendo le conseguenze. E di costruire una prospettiva nuova di cambiamento che sia al altezza di chi sciopera per cambiare davvero le politiche, il paese è l’Europa.