Dal 26 aprile scorso la parte centrale del ‘pratone’ della Sapienza è stata transennata. Sono cominciati degli improvvisi lavori di manutenzione, di cosa non si capisce dato che i cordoli sembrano essere stati messi alla rinfusa su una parte del prato ma di certo risultano «provvidenziali», come nota con ironia una docente.

SE LO SCOPO, come sospettano gli studenti e i ricercatori in mobilitazione, era di impedire l’uso sociale e politico dello spazio, non è stato raggiunto. Le tende sono state messe tutte intorno. Una ventina, per adesso, ma «aumenteranno nelle prossime ore», dicono dal coordinamento dei collettivi della prima università di Roma. Seduta per terra, tra gli studenti e le studentesse in assemblea c’è anche Luisa Morgantini, presidente di AssoPacePalestina. «Mi auguro che come nel 1968, le università degli Stati uniti diano il via al contagio e che in Italia cresca la mobilitazione ma temo la repressione – dice la storica attivista – è una vergogna questo mondo alla rovescia che condanna gli studenti, sono nel giusto: non accettano luoghi comuni deteriorati e questa violazione continua dei diritti umani, c’è solo da imparare da questa generazione». L’intenzione dei collettivi, come quella dei colleghi bolognesi che domenica hanno dato il via all’ ”Intifada degli studenti”, è di tenere le tende a oltranza. La settimana che si apre ha un calendario fitto di appuntamenti: «Il 13 maggio saremo in presidio durante la riunione del Comitato ordine e sicurezza voluta dai ministri Berini e Piantedosi, il 14 ci riuniremo sotto il Senato accademico e il 15 ci sarà la giornata nazionale di mobilitazione per la Nakba», annuncia Francesco di Roma dal megafono.

MENTRE DA BOLOGNA annunciano che domani si unirà al presidio anche l’attivista dei diritti umani Patrick Zaki e il 21 maggio «si terrà un Senato accademico dove porteremo la nostra mozione di rescissione degli accordi tra l’Università di Bologna e le università israeliane e le aziende come Leonardo, che forniscono milioni di euro in armamenti all’Idf». «Appuntamenti caldi, è importante arrivarci con consapevolezza collettiva». I collettivi bolognesi, come quelli romani sono in rete con tutte le altre università italiane e europee in mobilitazione, per «mettere in comune pratiche di lotta e informarci a vicenda sugli accordi con tra atenei e industria militare». In programma anche una assemblea a distanza con i colleghi statunitensi, francese, spagnoli e colombiani: «Stiamo provando a collegarci anche con gli studenti di Gaza – dice Gaia, studentessa di filosofia – c’è un sentimento comune che ci impone di agire contro la dissoluzione del popolo palestinese, facciamo parte di un movimento globale, a tutte le latitudini abbiamo le stesse parole d’ordine e le stesse pratiche». «L’evoluzione stessa di questa mobilitazione ci dirà anche i tempi della sua durata – avvisa ancora Ettore da Bologna – Noi però siamo fiduciosi perché siamo qui per analizzare la storia della questione palestinese e del suo futuro, cioè della sua liberazione». A nome dei docenti, dottorandi e post doc di “Sapienza per la Palestina”, interviene Laura Guazzone, docente di Storia contemporanea del mondo arabo: «Già a novembre 2023 abbiamo fatto un appello alla rettrice Polimeni, adesso abbiamo ribadito in una lettera le nostre critiche costruttive e la richiesta urgente di aprire un processo trasparente di revisione degli accordi per cancellare quelli che possono avere una complicità diretta o indiretta con il massacro dei palestinesi».

«PARALLELAMENTE – continua Guazzone – ci stiamo impegnando perché ogni dipartimento diffonda e discuta le nostre posizioni. Sono azioni che possono sembrare piccole gocce nel mare ma fondamentali per la vita democratica di questo ateneo: a prescindere dalle valutazioni sulle cause e gli sviluppi di questo terribile conflitto c’è una questione democratica nelle nostre istituzioni per le quale dobbiamo lottare».