Centinaia di agenti in tenuta antisommossa hanno sgomberato ieri all’alba il palazzo dei rifugiati, un edificio di 32 mila metri quadri tra via Goito, via Curtatone e piazza Indipendenza, a poche centinaia dimetri dalla stazione Termini a Roma. Più di venti automezzi che hanno isolato il quadrante tra la stazione Termini e la biblioteca nazionale di viale Castro Pretorio a partire dalle prime luci del giorno. Un minimo tentativo di resistenza è stato respinto, con la minaccia dell’intervento dei camion idranti, in via Solferino. Palazzo Curtatone era stato occupato nel 2013, dopo la strage del 3 ottobre a Lampedusa dove persero la vita 368 persone. Circa 800 migranti, almeno 250 famiglie con decine di minori, per la maggior parte eritrei richiedenti asilo e rifugiati, sono stati sostenuti dai movimenti per la casa nell’ambito dello “Tsunami tour”, una clamorosa campagna di denuncia sull’emergenza abitativa a Roma e per dare un’abitazione a migliaia di italiani e immigrati.

Un’occupazione scomoda quella di palazzo Curtatone, questo il nome comunemente attribuito all’immobile. Sul lato opposto di piazza Indipendenza sorge la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, a trecento metri c’è il consolato tedesco, a pochi passi la redazione romana del Sole 24 Ore e il Corriere dello Sport. Finché ha resistito in questa zona centrale della città, il palazzo dei rifugiati è stato la denuncia vivente del mancato rispetto della Convenzione di Ginevra, del regolamento di Dublino e del malfunzionamento del sistema dell’accoglienza. Gran parte degli occupanti erano legalmente residenti in Italia, ma al riconoscimento del loro status non è seguita l’accoglienza in strutture che potevano garantire condizioni di vita dignitose. Mai, fino allo sgombero di ieri, è stata offerta una soluzione alternativa realistica. “Erano stati messi in mezzo alla strada, perché l’Italia non prevede per tutti l’accompagnamento fino alla reale autonomia delle persone” ha detto a maggio in una dichiarazione all’Agi Padre Zerai, il sacerdote eritreo presidente di Habeshia, l’agenzia che si occupa di assistenza ai rifugiati africani. Ora ci sono tornati, in strada.

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Foto La Presse

“Non ci hanno avvisato, non siamo riusciti e prendere niente né a fare le valigie, dentro abbiamo ancora tutto, anche i nostri documenti” ha raccontato una donna etiope cinquantenne che lavora in un albergo vicino. “Hanno spaccato la porta, senza preavviso o rispetto – ha raccontato un uomo eritreo di 37 anni – Sono qui dal primo giorno, avevamo occupato solo per chiedere i nostri diritti di rifugiati, ma non ci hanno detto nulla. Ora diventeremo ‘sporco per le strade’?”. Ci sono almeno due donne incinte, di cui una in stato avanzato: “Non ci hanno offerto niente” ha detto una di loro. Un uomo sui 30 anni ha raccontato di essere arrivato a Lampedusa via Libia in barcone nel 2012, e di aver ottenuto asilo politico: “Ora non so dove andare” sostiene. A una cinquantina di persone sarebbe stato accordato il permesso di passare la notte nel palazzo sgomberato. “Dove andremo adesso? Non lo sappiamo. Dormiremo per terra” dicono alcuni. Altri dormiranno da conoscenti o in altre occupazioni.

Oltre all’esercito di poliziotti, carabinieri e finanzieri, ieri al primo piano dell’edificio costruito negli anni Cinquanta dagli architetti Aldo Della Rocca, Ignazio Guidi, Enrico Lenti e Giulio Sterbini è stato creato un “help-desk” della polizia, un servizio sanitario per anziani e bambini. L’amministrazione comunale guidata dalla pentastellata Virginia Raggi ha fatto sapere che sul luogo è intervenuta la sala operativa sociale di Roma Capitale.

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I “servizi speciali” dell’Atac: trasporto rifugiati in centri di identificazione (Bpm, twitter)

A piazza Indipendenza è arrivata anche l’Atac che ha messo a disposizione alcuni autobus a supporto dei cinque mezzi usati dalla polizia per trasportare i migranti al centro di identificazione di Tor Cervara. “Non ci sono vetture per i passeggeri, ma piena disponibilità per gli sgomberi” hanno polemizzato su twitter i Blocchi precari metropolitani (Bpm). È stato questo il discutibile contributo dell’azienda dei trasporti pubblici all’”operazione di bonifica”. Questa dizione sconcertante è stata usata nei comunicati ufficiali. La sintesi è inquietante: un’emergenza sociale e umanitaria, creata dalla disapplicazione e dal malfunzionamento delle leggi, ridotta a un episodio igienico-sanitario. Un uso burocratico del linguaggio che richiama i peggiori incubi della storia del Novecento e fa parte del bagaglio semantico dell’ideologia del decoro usata per giustificare l’operazione.

Al destino incerto di centinaia di persone non collaborerà IDeA Fimit, la società alla quale il fondo Omega di Intesa, Enasarco e Inarcassa (la cassa degli ingegneri e degli architetti) ha affidato l’immobile nel 2011 che sarà trasformato in un albergo, in un centro commerciale e in una palestra. “Non esiste nessun impegno diretto nel ricollocamento degli occupanti – ha precisato in una nota IDeA Fimit – Non corrisponde al vero che alcuni gruppi di persone saranno ospitati in strutture individuate dalla proprietà”. Lo sgombero, richiesto già nel 2013 e ribadito più volte fino al febbraio 2016, era stato previsto dal 12 aprile 2016 quando Francesco Tronca, ex commissario straordinario della Capitale, lo ha inserito tra le priorità.Lo aveva promesso l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano in una risposta a un’interrogazione alla Camera. È avvenuto sotto il governo del suo successore, Marco Minniti. Le cronache compiacenti tornano ora a parlare del “palazzo gioiello”, valutato 80 milioni di euro. Pronto a diventare un albergo, un centro commerciale e una palestra. L’ordine è stato ristabilito in città.

Il Comune, per bocca del vicesindaco Luca Bergamo, sostiene di avere concesso alcuni alloggi agli sgomberati. “L’accettazione di questa offerta è volontaria” ha precisato Bergamo che ha respinto la responsabilità sull’accaduto. Lo sgombero è stato deciso da Prefettura e Questura di Roma: “Quando si tratta di sgomberi di edifici privati il Comune viene coinvolto con un’informativa delle autorità di pubblica sicurezza, normalmente molto a ridosso dell’evento” ha precisato. Com’è ormai prassi nelle città italiane- l’ultimo episodio a Bologna con gli sgomberi di Làbas e Crash – l’autorità politica non sa e non vede. Ad agire sono il Viminale, le questure e i prefetti. È lo stato di emergenza: la politica è commissariata. Anche i Cinque Stelle, come in precedenza il sindaco Marino, subiscono questa supplenza. Ieri, mentre le destre attaccavano, e le sinistre rispondevano, sono rimasti muti.

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Fonte: Facebook

Le immagini dei bambini usciti dal palazzo con grossi trolley, borsoni, libri scolastici, tra paraventi e quadri di soggetto cristiano, insieme a quella di una donna incinta di otto mesi, costretta ad aspettare sotto il sole, seduta su una sedia, per recuperare gli effetti personali, hanno scosso il vuoto pneumatico del post-ferragosto romano. “Un altro sgombero senza una proposta di soluzione alternativa. Dove andranno ora i rifugiati eritrei che erano dentro?” ha chiesto il collettivo Baobab che ha accolto 35 mila migranti transitanti nella capitale e affronta quotidianamente sgomberi a ripetizione.

Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani e senatore Pd, si è soffermato sul nodo politico: “Una situazione ben conosciuta da anni, e nota a tutte le autorità e all’amministrazione comunale, che si è deciso di affrontare e risolvere proprio ieri – sostiene – persone e interi nuclei familiari, regolarmente residenti nel nostro paese e per le quali, evidentemente, una città come Roma, con tre milioni di abitanti, non è stata in grado di trovare una più dignitosa collocazione”.

La soluzione del problema resta in mano al Comune che deve coordinarsi con la Prefettura: “È un’emergenza sociale – sostiene Marco Miccoli, deputato romano del Pd – Spero che mettano velocemente a disposizione soluzioni – Serve un piano di emergenza che eviti una tendopoli o situazioni inaccettabili per la dignità delle persone”. Un piano di cui tuttavia non sembra esserci traccia. Mentre la destra ieri brindava al ritorno alla “legalità”, anche dal Pd si sono levate voci consonanti. Per Stefano Pedica (Pd) bisogna andare avanti con gli sgomberi, perché “siamo in piena emergenza terrorismo”. “Sono parole inaccettabili, da caccia alle streghe – sostiene Paolo Cento (Sinistra Italiana) – Il Pd cavalca la paura invece di fare fronte comune contro l’intolleranza”.

siamo rifugiati non terroristi
Lo striscione del palazzo dei rifugiati: “Siamo rifugiati, non terroristi”

 

Va ricordato un episodio che più di ogni altro riassume lo spirito di un’occupazione attaccata ferocemente dalle destre e dai razzisti di ogni specie nelle ultime settimane, considerata sinonimo di “spaccio, degrado e prostituzione”, nozioni ribadite ieri da Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia”. Sul lato monumentale del palazzo, quello che si affaccia su Piazza Indipendenza, per anni è rimasto esposto lo striscione: “Siamo rifugiati, non siamo terroristi” era scritto a caratteri cubitali.

Una precisazione preventiva contro l’equazione “rifugiati=terroristi” che è tornata immancabilmente ieri a galla, con l’uso disonesto e ingnobile dei gravi fatti accaduti a Barcellona. Quello striscione non è servito. Dopo quattro anni di scaricabarile tra governo e comune è arrivato solo lo sgombero, nonostante tutto. E tutti. La povertà va messa sotto il tappeto sul fronte interno della guerra contro migranti e poveri, mentre su quello esterno si rinchiudono i migranti nei centri di detenzione in Libia.

Il ripristino della “legalità” rischia di acuire i disagi di una città prostrata che non vede una soluzioni in un’emergenza che aumenta, sgombero dopo sgombero. “Ma davvero sindaco, prefetto, questore pensano che buttare le persone in mezzo ad una strada risolva il problema? – domanda Adriano Labbucci (Sinistra Italiana) – Lo si sposta e si rende ancora più precaria e insicura la città e la vita delle persone”. “Sgomberare non è governare”, ha ragione Labbucci, ma potrebbe anche essere un altro modo di governare: allontanare dalle città le grandi concentrazioni, accrescere la pressione poliziesca,bloccare ogni possibile iniziativa..

La protesta a Piazza SS. Apostoli, foto Blocchi Precari Metroplitani (Facebook)
La protesta a Piazza SS. Apostoli, foto Blocchi Precari Metropolitani (Facebook)

Nell’agosto romano più blindato, e desolato, degli ultimi anni, quello di ieri è stato lo sgombero più grande, il terzo dell’estate dopo Casetta, il secondo nell’ultima settimana. Il 10 agosto in via Quintavalle a Cinecittà sono state arrestate 11 persone e una sessantina di famiglie sono state sgomberate da un edificio ex Inps, proprietà della società immobiliare di una banca. Ora sono accampate nel portico della Basilica dei Santi XII Apostoli, nella piazza di fronte alla Prefettura. Ieri pomeriggio, a piazza Santi Apostoli, è stato organizzato un sit-in di protesta dove ai bambini è stata data l’opportunità di giocare e fare il bagno in piscine gonfiabili. I blocchi precari metropolitani hanno denunciato l’arresto di due attivisti accusati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Le forze dell’ordine avevano chiesto di rimuovere le piscine. “Una rappresaglia contro l’esercizio della solidarietà e il rifiuto di nascondere la povertà sotto il tappeto” denuncia il movimento per la casa.

In questo clima di repressione e rappresaglie, dove trionfa la città della rendita, a Roma è prevista una manifestazione di protesta il prossimo 26 agosto. La questione degli sgomberi e degli sfratti è sentita in tutto il paese, come dimostrano i dati del 2016Il 9 settembre è confermato il corteo nazionale a Bologna dopo gli sgomberi dei centri sociali Làbas e Crash.

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