Non si scorgono mezzi corazzati e armi pesanti in movimento ma percorrendo la superstrada che dalla colonia di Gilo (Gerusalemme) arriva fino a Hebron si ha comunque l’impressione di andare al fronte. Ovunque, a piedi o a bordo delle jeep blindate, ci sono soldati israeliani con l’equipaggiamento da combattimento. E i posti di blocco militari sigillano gli ingressi di molti centri abitati palestinesi. Senza l’accredito stampa e una targa gialla sull’auto è difficile arrivare a Hebron. Nella città e nei villaggi vicini, verso le colline della Cisgiordania meridionale si concentrano le ricerche dei tre adolescenti israeliani scomparsi giovedì sera nei pressi del blocco di colonie di Etzion. L’Esercito israeliano usa il pugno di ferro. Nella zona H1 di Hebron, che pure è formalmente sotto il controllo dell’Autorità nazionale palestinese, da venerdì non si cessano i raid nelle abitazioni, seguiti quasi sempre da scontri tra i soldati e gruppi di giovani palestinesi, come ieri a Bab Zawiye.

 

Scene che si ripetono in altre zone della Cisgiordania e, ieri all’alba, Ammar Arafat, un giovane di 19 anni è stato ucciso da un colpo al petto sparato dai militari durante le proteste divampate dopo i rastrellamenti nel campo profughi di Jalazon, non lontano da Ramallah. «La situazione è grave – ci dice Isa Amro, noto attivista palestinese di Hebron – i raid proseguono e i nostri giovani affrontano con i sassi i soldati israeliani nel tentativo di fermarli. Temo il peggio da un momento all’altro».

 

Negli ultimi quattro giorni a Hebron sono state arrestate circa 150 persone, riferiscono i palestinesi, 40 dei quali solo nella notte tra domenica e lunedì. Sabato in manette sono finiti anche i parenti stretti e le mogli di Amr Abu Eisha e di Marwan Kawasme, i due militanti di Hamas dei quali non si sa più nulla da giovedì e che l’intelligence israeliana considera coinvolti nel sequestro di tre adolescenti. La moglie di Kawasme ieri è stata liberata mentre quella di Abu Eisha è sotto interrogatorio. Israele è certo che dietro al rapimento ci sia l’ala militare del movimento islamico Hamas che, da parte sua, continua con forza a negare ogni coinvolgimento. Nelle ultime 72 ore l’esercito israeliano ha arrestato, di fatto, tutta la leadership islamista in Cisgiordania (oltre 80 persone), inclusi il presidente del parlamento Aziz Dweik e l’ideologo Hassan Yusef. Il governo Netanyahu minaccia di deportarli tutti a Gaza. Minaccia anche di demolire le loro abitazioni e quelle di altri attivisti di movimento islamico. E ipotizza misure più dure nei confronti dei detenuti di Hamas in carcere in Israele

 

. Pressioni, dicono gli israeliani, per costringere i palestinesi a liberare i tre rapiti. Sul terreno però colpiscono l’intera popolazione palestinese, manifestandosi come una punizione collettiva. Il premier Netanyahu, il ministro della difesa Yaalon e altri rappresentanti del governo ripetono che esercito e polizia hanno carta bianca per ritrovare i ragazzi spariti. E il ministro degli esteri Lieberman mette in chiaro che, in ogni caso, non ci sarà uno scambio di prigionieri. E proprio dei detenuti politici parlano, e tanto, tutti i palestinesi. Con rabbia verso il resto del mondo che, spiegano, ignora la condizione di migliaia di prigionieri politici e lo sciopero della fame che oltre 200 detenuti stanno facendo da settimane contro il carcere senza processo praticato da Israele (la detenzione “amministrativa”). In un’intervista con l’agenzia Maan l’autore satirico palestinese Ali Qaraqe ha chiesto «Cosa sono mai tre dispersi rispetto alle migliaia di prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane? I prigionieri non hanno forse famiglie? E’ come se gli israeliani fossero umani e noi invece di un altro pianeta».

Cosa accadrà nei prossimi giorni? Se gli sviluppi del sequestro dei tre adolescenti saranno drammatici, è prevedibile una pesante rappresaglia militare da parte di Israele. Ma saranno importanti anche i riflessi politici, non solo nei rapporti tra Netanyahu e Abu Mazen ma anche tra il presidente palestinese e Hamas. Messo nell’angolo dalla campagna mediatica e diplomatica lanciata dal governo israeliano, pressato dal Segretario di stato John Kerry, Abu Mazen ieri per la prima volta da venerdì ha condannato il sequestro. Parole che non pochi hanno interpretato come un indice puntato contro Hamas. Formato ai primi di giugno, l’esecutivo palestinese di consenso nazionale, frutto dell’accordo di riconciliazione Fatah-Hamas del 23 aprile, forse è già giunto al capolinea.