Suturare la cesura tra centro e periferia e superare i confini musicali. Muoversi lungo la frontiera è, d’altronde, molto più stimolante che rinchiudersi in un perimetro definito. E in tempi di Covid è ancor più una scommessa. Questa è la storia di TOdays, festival del presente musicale, non solo rock, nato sei anni fa a Barriera di Milano, popoloso quartiere della periferia Nord di Torino, dove le problematiche, come in altri estremi urbani, si sono accentuate con la pandemia. E in questi spazi post-industriali TOdays ci è voluto rimanere per alleviare le ferite e per contaminarsi, trasformando una periferia geografica in un crogiolo culturale, dando cittadinanza a suoni e voci che difficilmente la troverebbero altrove. «C’è chi disegna confini, noi vediamo solo nuovi orizzonti, nella convinzione che l’unico istante in cui il futuro può essere deciso sia questo: il presente», ha detto Gianluca Gozzi, anima e mente del festival, che ha stilato un cartellone internazionale dove la qualità e il coraggio sono le principali discriminanti. Dry Cleaning, Black Midi, The Comet is Coming, Motta, Iosonouncane, Shame, Andrea Laszlo De Simone e Teho Teardo sono alcuni degli artisti saliti sul palco dal 26 al 29 agosto.

IL VIRUS – oltre ad aver contingentato i posti (tutti a sedere e sempre esauriti) – ha cambiato un po’ le carte in tavola, causando l’annullamento dei live di Working Men’s Club, Arlo Parks e degli attesissimi Black Country, New Road, che con For the first time hanno dato alle stampe uno degli album dell’anno. Giovedì si è alzato il sipario sulla sesta edizione, è toccato all’islandese Ásgeir rompere il ghiaccio sul main stage di via Cigna 211: polistrumentista e cantautore ha, qui, proposto le melodie crepuscolari che in patria gli sono valse anche successo di pubblico. Ed è stata, poi, la volta dei Dry Cleaning, band inglese dagli spigoli post-punk; con il disco New Long Leg una delle rivelazioni del 2021. Il loro è un ritmo incalzante dove il parlato ipnotico di Florence Shaw, il cui timbro ricorda quello di Kim Gordon, funge da metronomo emotivo. Le influenze sono Fall e Joy Division, ma nessuno dei loro pezzi – da Scratchcard Lanyard a Strong Feelings (sugli effetti della Brexit sulle relazioni sentimentali) – sembra vintage.Il secondo giorno è stato aperto dagli I Hate My Village, supergruppo italiano che fonde afrobeat, funk e blues elettrico. Da Oltremanica arrivano, invece, i Black Midi intensi e matematici. Ultima ora dedicata alle sonorizzazioni di Teho Teardo, che sul palco del TOdays ha «suonato» La Jetée di Chris Marker, corto del 1962 di sole fotografie.

SABATO, dopo gli indie rocker svedesi Shout Out Louds, è salito sul palco Iosonouncane,reduce dal chiaccheratissimo Ira, vero e proprio scarto dalla norma dalle consuetudini discografiche. Un album politico che, come metafora delle migrazioni, confonde linguaggi e generi. Non immediato. E così è stato anche il live: lontano dagli anni del cantautorato e più vicino alle sperimentazioni dei Residents o alle escursioni più temerarie dei Radiohead. Hanno concluso la serata gli esplosivi The Comet is Coming di Shabimpossibile restare fermi con Summon The Fire, che frulla elementi jazz, dance e psichedelici. Domenica, giornata di chiusura con Erlend Øye «metà siciliana» dei Kings of Convenience e con Motta. Il sipario è calato dopo l’esibizione degli energici e viscerali Shame, giovani londinesi, le cui radici post punk affondando ai Gang of Four. Ma la loro carica è tutta millennial.