Il governo Tory corre verso il fatidico divorzio del 31 ottobre, ma è costretto a stare sulla difensiva. Ieri Boris Johnson ha dovuto respingere le accuse della Court of Session di Edimburgo (la più alta corte civile della Scozia) che ha definito illegale la sospensione del Parlamento britannico che mira a soffocare il dibattito parlamentare sulla Brexit. Il primo ministro nega: non ha mentito alla regina nel suo advice per ottenere il Royal Assent sul provvedimento di sospensione. Mentre i sui ministri sono impegnati a minimizzare la portata del rapporto Operation Yellowhammer, il dossier datato 2 agosto che il governo è stato costretto a pubblicare mercoledì, in cui si svela lo «scenario peggiore realistico» di un’uscita dall’Europa senza accordo. Che secondo il negoziatore Ue Michel Barnier è ormai l’unica via.

La situazione paventata dal documento prefigura «approvvigionamenti ridotti» di prodotti alimentari, intoppi per un periodo fino a 6 mesi nell’importazione di certi medicinali, una fase di aumento di prezzi particolarmente concentrati sulle persone a basso reddito, code di tir ai porti sulla Manica, eventualità di proteste di piazza e di scontri fra anti e pro Brexit.

Il ministro della Difesa Ben Wallace si è precipitato a spiegare che non si tratterebbe di una previsione realistica, ma di uno scenario estremo. Gli ha fatto eco il numero tre del governo Johnson, Michael Gove, responsabile dei preparativi del no deal, che ha sottolineato come il testo risalga all’inizio di agosto e come da allora siano state approntate misure – che ha promesso di rendere note a breve – per «mitigare» i rischi. L’opposizione è sul piede di guerra e chiede la riapertura immediata del parlamento. In attesa della pronuncia della Corte Suprema, dopo che ieri la corte di Belfast ha rispedito al mittente il ricorso degli anti-Brexit perché «appartiene al mondo della politica».