Il calcio e lo sport spagnolo vivono con terrore lo spettro dell’indipendenza catalana. C’è il rischio concreto che il Barcellona e il suo fatturato annuo da oltre 600 milioni di euro abbandoni la Liga, il campionato spagnolo, magari emigrando in un altro torneo nazionale europeo. Poco interessa al Real Madrid, agli altri club oppure alla Federcalcio che la società blaugrana abbia sempre sostenuto le istanze autonomistiche della Catalogna (uno dei suoi leader, Gerard Piquè si è pubblicamente impegnato per sostenere l’indipendenza, così come l’ex tecnico Pep Guardiola), o che oggi  il club parteciperà allo sciopero generale, veder sfilar via Leo Messi, il marchio del club blaugrana dalla Liga porterebbe a un crollo verticale del valore del torneo. Tra sponsor in fuga e diritti televisivi, sia nazionali che quelli ceduti all’estero, che andrebbero a valere sul mercato molto meno rispetto all’astronomica quotazione attuale. Secondo le stime finanziarie pubblicate online da El Confidencial, se il Barcellona facesse i bagagli dalla Liga ci sarebbe un contraccolpo devastante per il calcio nazionale: introiti in calo intorno al 50%, forse anche di più, con il campionato destinato in breve tempo a perdere lo status di campionato più importante d’Europa (assieme alla Premier League), in grado di attirare multinazionali da ogni angolo del globo, assieme all’altro totem, il Real Madrid, che si è invece issato a baluardo difensivo dell’unità spagnola, con le bandiere nazionali sventolate dai tifosi al Santiago Bernabeu durante l’ultima gara di campionato.

E tutto questo perché il Barça è una griffe, profondamente catalana ma con appeal mondiale. Més que un club, simbolo di una città, di una realtà, con propria lingua, identità, idee. E con un patrimonio storico e culturale fissato nella mente di ogni tifoso. Ma anche una fabbrica itinerante di euro, dollari, yen, yuan. Da oltre 30 anni in Catalogna indossa gli scarpini il calciatore più forte del mondo. Prima Johan Crujff, il mito olandese che ha costruito la leggenda del Barça dalle fondamenta, poi Diego Armando Maradona, all’inizio degli anni Novanta ecco Stoichkov, Romario, poi Ronaldo Il Fenomeno, Rivaldo, Ronaldinho, sino a Messi.

Qualche settimana fa, prima che la stagione prendesse il largo, Barça e Real Madrid si sfidavano in amichevole negli Stati Uniti, all’Hard Rock Stadium di Miami, città di culto del lusso yankee, più avvezza a basket e football che al pallone. Allo stadio c’erano 65 mila spettatori, sold out e quella sola partita riusciva a generare un indotto economico da quasi 50 milioni di euro. Mentre la sfida in campionato dello scorso aprile era stata trasmessa in 185 Paesi. E c’è quel brand, El Clasico (così è conosciuta nel mondo la sfida tra i due colossi) che i due club vorrebbero indipendente dalla Liga e che vale poco meno del marchio a cinque cerchi dei Giochi olimpici oppure del Superbowl, la finale del campionato di football americano. E che con l’indipendenza e la possibile fuga del Barça dalla Liga, perderebbe forza economica. Ma la Catalogna indipendente potrebbe portare anche a un nuovo campionato per il club di Messi, di Suarez, Iniesta e Piquè, dove l’avversario più competitivo potrebbe essere l’Espanyol, il cuginetto povero di Barcellona, che ha pure assunto una posizione neutra sull’autonomia. Dunque, poca competizione, poco interesse, pochi soldi, più facile trovare leghe pronte a ospitarlo.

Qualche giorno fa, prima del voto per il referendum, il ministro dello sport della Catalogna, Gerard Figueras, ipotizzava addirittura per il Barça (polisportiva che comprende anche una squadra di basket, hockey su pista, su pattini e football americano) e le altre squadre catalane un futuro a breve termine in Italia, Francia o Inghilterra, ricordando il caso del Monaco, che gioca in Ligue 1 (Francia) e dei club gallesi (Swansea, Cardiff) in Premier League.