Alla vigilia delle primarie per la scelta del nuovo segretario, il Pd, schierato come un sol uomo a favore del tunnel in val di Susa, annuncia una mozione di sfiducia contro il ministro dei trasporti. Una poltrona che fin dai tempi della prima repubblica portava in dote clientelismo e voti.

Non che Toninelli non meriti la critica di menare il can per l’aia, l’ultima trovata sarebbe una mini-Tav che non esiste se non come mossa tattica per allungare il brodo e alla fine trovare il modo meno indigesto di far digerire il rospo al M5S. Una mission impossible se non al prezzo di un suicidio collettivo del Movimento.

Solo che il Pd, tutto il Pd compresi i tre candidati alla segreteria, si fa capofila di una pessima compagnia, che va da Salvini a Meloni passando per Berlusconi. Proprio la leader di FdI ieri arringava sull’argomento i telespettatori del Tg1 che le metteva a disposizione la telecamera per un comizietto pro-Tav in trasferta da Times Square.

L’annuncio di una mozione di sfiducia contro il ministro che in questo momento ha tra le mani la vera patata bollente che rischia di far saltare gli equilibri di governo e i nervi alla base grillina, gioca a colpire l’anello debole della nomenklatura pentastellata. Ma, come spesso succede quando si mette in campo l’arma della mozione di sfiducia, l’effetto potrebbe essere opposto, l’inamovibilità dell’obiettivo.

Mentre dice di voler riprendere un rapporto con il popolo che lo ha abbandonato (in buona parte consegnato proprio ai 5Stelle), questo Pd si schiera con il centrodestra e con Confindustria, appoggiando con ogni mezzo (referendum, mozione, manifestazioni) non solo la più controversa delle opere pubbliche negli ultimi trent’anni, ma il modello di sviluppo che la sostiene.

Aggiungiamoci che chiunque, nel paese delle diseguaglianze sociali più acute nella distribuzione del reddito, si azzardi a parlare di patrimoniale viene considerato ferrovecchio da rottamare, alla fine non si capisce perché alle primarie si presentino tre portavoce delle politiche di Renzi.