Nell’imminenza dello sciopero generale della scuola, il Partito Democratico ha fatto approvare una modifica all’articolo due del Ddl per cercare di annacquare il cuore di una riforma che istituisce il «preside manager» e la «chiamata diretta» dei docenti, il vecchio progetto berlusconiano contenuto in un progetto di legge mai approvato come il «Ddl Aprea». Nella nuova versione nella commissione cultura alla Camera il preside «individuerà» (e non «sceglierà») i docenti. Resta intatto il potere dei nuovi manager degli istituti scolastici che potranno scegliere i campioni che andranno a comporre la loro squadra del cuore. Aspetto collegato a questi super-poteri che la riforma-Renzi intende attribuire ai dirigenti scolastici, anche su sollecitazione delle lobby confindustriali e quelle dei presidi, è la modifica all’articolo 7 del disegno di legge (in aula alla Camera il 19 maggio): gli albi territoriali con la durata triennale. Questo è un altro aspetto contestato dai sindacati in sciopero oggi: l’emendamento proposto dal Pd sovrappone tali albi alle reti delle scuole.

In questo modo si ritiene di imporre ai dirigenti regole più vincolanti nella scelta (pardon, «individuazione») dei docenti neo-assunti a settembre 2015, coloro che dovrebbero comporre per un triennio il «portfolio»personale del preside-padrone di riferimento. Tale scelta dovrebbe essere co-gestita con il Consiglio di Istituto. L’impianto decisionista del provvedimento risulta rinvigorito. Il governo ritiene così di realizzare completamente uno dei criteri ispiratori della scuola-azienda contenuti nella riforma di centro-sinistra Berlinguer-Zecchino: l’autonomia. Parliamo di una «parola baule» il cui reale significato viene ora chiarito». L’autonomia è quella dei presidi che governeranno gli istituticon i principi del «New public management». Si tratta di una «governance» tipica del modello socio-economico neoliberista che mette a capo di una società, come di un istituto scolastico, un «dominus». Alla faccia dell’autonomia di pensiero, e personale. La privatizzazione della scuola emerge da un altro emendamento all’articolo 2 della riforma, quello che prevede l’apertura delle scuole anche d’estate. I docenti non lavoreranno. Saranno i presidi e non meglio precisate «associazioni» a tenerle aperte.

La «Buona Scuola» imporrà una gerarchia tra gli insegnanti e il superamento degli organi collegiali ridotti a «staff» del manager del «capitale umano». Il preside sarà colui che decide il progetto di scuola e l’organico dei docenti ogni triennio. La scuola sarà trasformata in un mercato simile a quello del calcio. In fondo, questa è l’utopia della «meritocrazia»: organizzare un campionato – con tanto di classifiche – dove i «meritevoli» insegnano nelle scuole migliori. Questo è il miraggio della «mobilità sociale». È più che evidente la natura clientelare, nepotistica e potenzialmente corruttiva di questa selezione.

La scuola di Renzi assomiglierà all’università italiana, e in particolare al suo sistema di «reclutamento» lasciato intatto dalla riforma Gelmini. Il dirigente scolastico riceverà il potere (anche economico) di cooptare le insegnanti, e gli insegnanti, creando forme di dipendenza personale al fine di vincere la «competizione» esasperata con gli altri istituti. Al culmine di questa visione aziendalista-feudale c’è l’idea che gli studenti e le famiglie partecipino alla valutazione dei docenti. Questi ultimi, se non rispetteranno la volontà dei preside, o la soddisfazione dei loro «clienti», saranno mobbizzati e perderanno la loro libertà di insegnamento.

*** Leggi: Meritocrazia: il privilegio è solo di classe (Recensione a “L’avvento alla meritocrazia” di Michael Young)

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