La scoperta è stata quasi casuale. Mercoledì mattina, durante un controllo di routine, una pattuglia della guardia di finanza ha notato del fogliame bruciato di recente. Avvicinandosi, gli agenti hanno notato che dalla terra spuntava un femore. Siamo a Porto Recanati, poco distanti dall’Hotel House, un mostro architettonico che si erge nel nulla tra l’A14 e la spiaggia: 17 piani, 480 appartamenti e (almeno) 2.500 inquilini di 40 nazionalità diverse. Costruito negli anni ’60 con l’idea di farne una residenza turistica di lusso affacciata sull’Adriatico, col tempo è diventato una banlieue in miniatura, perennemente al centro delle cronache per episodi di spaccio, faide tra bande criminali, blitz della polizia.

Il femore ritrovato dai militari è stato solo il preludio al rinvenimento di altre ossa, per lo più frantumate, appartenenti ai cadaveri di almeno due persone, anche se gli investigatori pensano che i corpi siano almeno cinque o sei in totale, sepolti là dove un tempo c’era il pozzo di un piccolo casolare ormai abbandonato.

Uno dei cadaveri, forse, ha già un nome: Camey Mossamet, bengalese scomparsa da Ancona nel 2010 quando aveva quindici anni: solo l’esame del dna chiarirà se l’intuizione di chi indaga è giusta, ma il ritrovamento di alcuni abiti sembra già abbastanza per poter fugare eventuali dubbi.

Sono quasi 250 i bengalesi che vivono qui, moltissimi lavorano nelle botteghe di generi alimentari che danno sul portico del palazzo. Nessuno ricorda di aver conosciuto Monir Kazi, il fidanzato di Cameyi ai tempi indagato per sequestro di persona e sul quale adesso ricominciano a piovere i sospetti più terrificanti. Viveva qui quando sparì la quindicenne, adesso nessuno sa dove sia andato a finire.

Mentre la polizia, i vigili del fuoco e gli uomini della scientifica continuano a scavare la vita all’interno dell’Hotel House sembra essersi fermata, ma strappare impressioni e commenti ai residenti è un’impresa pressoché impossibile.

Il condominio, per il resto, appare come sempre: inaccessibile e inespugnabile. I corridoi sono oscuri, la luce funziona solo a tratti, così come gli ascensori. Fuori gli angoli sono sommersi da immondizia e rottami abbandonati. Non c’è nemmeno l’acqua potabile in questo edificio a forma di croce, la cui facciata appare come un mosaico di antenne paraboliche e panni stesi senza soluzione di continuità.

La procura di Macerata ha affidato le indagini alla sostituta Rosanna Buccini, che ha aperto un fascicolo contro ignoti per le ipotesi di reato di omicidio e occultamento di cadaveri, ma l’idea che va per la maggiore, riferiscono fonti di polizia, è che quello ritrovata sia una specie di fossa comune per immigrati senza documenti, persone fuori dai radar delle autorità italiane e mai reclamate da nessuno, nascoste sotto terra più che sepolte.

«Un cimitero degli invisibili», come già l’ha definito l’Osservatore Romano. Ed è per questo che nei prossimi giorni, probabilmente, si cercherà di bonificare altre parti del terreno intorno all’Hotel House, nella convinzione che ci siano altri corpi sepolti. Tra la leggenda metropolitana e la cupa realtà di un’integrazione mai nemmeno tentata, la provincia marchigiana si scopre per l’ennesima volta galleria degli orrori: l’oasi di tranquillità di cui parlano gli spot turistici è finzione pura, da queste parti si è sempre preferito nascondere la polvere sotto il tappeto e poi dimenticarla.

L’omicidio di Emmanuel a Fermo nel 2016, il rogo di una palazzina destinata ad ospitare Migranti a Spinetoli (Ascoli Piceno) a Capodanno, la sparatoria di Luca Traini a Macerata due mesi fa: la punta di un iceberg di razzismo strisciante che fa delle Marche l’Alabama d’Italia.

L’Hotel House ha attirato più volte l’interesse di sociologi e antropologi, ma anche polemiche sempre in bilico tra il razzismo e le pulsioni securitarie portate avanti nel nome del decoro, con costante minaccia di uno sgombero che non arriva mai perché nessuno ha la più pallida idea di cosa fare dopo dei suoi inquilini. Nel 2014, per la campagna elettorale delle europee, invocando ruspe e colpi di cannone, arrivò alle porte del casermone multietnico anche Matteo Salvini. Fu accolto da un centinaio di contestatori che riuscirono a impedirgli l’accesso al palazzo.