Abbattere le frontiere, al Brennero e ovunque», questo era il titolo del corteo tenutosi il 7 maggio del 2016 nel luogo in cui l’Austria aveva annunciato di voler costruire un muro anti-migranti (poi mai realizzato). Oggi la corte di Cassazione di Roma si pronuncerà sulle condanne date in appello a 63 manifestanti per un totale di 129 anni di carcere. Oscillano da un minimo di cinque mesi a un massimo di cinque anni per imputato. Le accuse sono varie: resistenza a pubblico ufficiale, radunata sediziosa, danneggiamento, interruzione di pubblico servizio, lesioni. Il tutto aggravato da un ipotetico «concorso morale» per numerosi imputati.

IL 2016 È STATO L’ANNO in cui la rotta balcanica ha preso il sopravvento su quella mediterranea, l’anno dei campi profughi, della chiusura delle frontiere, degli accordi con la Turchia per bloccare l’enorme flusso di persone che, in fuga da guerre e povertà, cercavano di raggiungere l’Unione Europea. In quel contesto per fermare i migranti che dall’Italia provavano a raggiungere il nord Europa, l’Austria aveva deciso di costruire un muro al passo del Brennero, uno dei più utilizzati. Contro quella proposta si svolsero tre manifestazioni in poche settimane, quella del 7 maggio fu la più dura, organizzata dai movimenti anarchici e antagonisti. Ci furono scontri con le forze di polizia, lanci di oggetti contro i giornalisti e una parte del corteo invase binari del treno e autostrada, bloccando le vie di comunicazione per qualche ora. Una quindicina di agenti di polizia rimasero feriti, mentre i danni materiali sono stati stimati in qualche migliaia di euro.

LA PROCURA DI BOLZANO aveva chiesto inizialmente 330 anni di prigione per «devastazione e saccheggio». In primo grado questo capo di imputazione è caduto, ma le pene rimangono altissime nonostante il processo si sia svolto con rito abbreviato e, quindi, con la decurtazione di un terzo della condanna. «La sentenza d’appello è decisamente deficitaria – sostiene Claudio Novaro, uno degli avvocati difensori – La Corte ha riciclato tutte le osservazione del primo grado di giudizio senza aggiungere quasi nulla, né rispondere alle obiezioni che avevamo fatto negli atti di appello. Le pene sono spropositate». Inoltre, l’istituto del concorso nei reati è stato dilatato a dismisura: «la Corte ha fatto un ragionamento collettivo, come se tutti dovessero rispondere di tutto, senza andare a calibrare le singole posizioni e quindi i singoli profili di responsabilità penale», denuncia ancora il legale.

IN PRATICA i fatti specifici e le prove accusatorie sono poche, ma molti degli imputati sono stati condannati per concorso morale in reati compiuti da ignoti perché «complici moralmente» in quanto presenti nel corteo. «Manca il nesso di causalità, bisogna dimostrare che gli imputati abbiano agevolato il reato. Invece la mera presenza viene utilizzata come grimaldello per dire che c’è un concorso morale. Il che evidentemente è in contrasto con alcuni principi generali del diritto», dice ancora Novaro.

QUESTO PROCESSO è il secondo che si tiene contro i manifestanti di quella giornata: un primo troncone si è già concluso e ha visto condannare 23 antagonisti a pene intorno ai cinque mesi di reclusione (per altri 36 è scattata la prescrizione). I reati contestati erano «minori» e vanno dalla manifestazione non autorizzata all’interruzione di pubblico servizio fino al travisamento. Reati per cui il pm aveva comunque chiesto un totale di 85 anni.

PER QUANTO RIGUARDA il troncone che arriva oggi in Cassazione, invece, i legali della difesa sperano in un annullamento e rifacimento del processo d’appello. Se le condanne venissero confermate, complessivamente sarebbero quelle più pesanti per un corteo negli ultimi decenni di storia italiana. Per il G8 di Genova sono arrivate a 98 anni di carcere. Questa volta, contando anche i sette anni comminati ai sei manifestanti arrestati durante il corteo, la somma supererebbe i 135.