Sara Pasqual, 45 anni, è stata uccisa dall’uomo con cui, nel novarese, divideva la casa (Gabriele Lucherini, 46 anni). Se ancora non si conoscono i particolari, è certo l’esito. Funesto e drammaticamente noto, come gli altri casi di femminicidio che attraversano le cronache e le vite delle donne – morte e sopravvissute – raccontando di un problema pernicioso e attinente alla violenza maschile, deliberata decisione di soppressione attuata ai danni delle proprie compagne, quasi sempre infatti partner o ex.

Nella narrazione mediatica, la notizia è che Sara Pasqual aveva riaccolto in casa chi le aveva usato violenza per anni, alludendo a una parziale responsabilità anche della vittima. A ben guardare invece si scopre che l’assassino, oltre a essere noto alle forze dell’ordine per episodi di violenza, era stato denunciato circa 4 anni fa anche dalla propria madre stanca di essere vessata. Risultato: una condanna a 3 mesi di carcere che, intuiamo, non ha portato a niente di buono se non una privazione della libertà per poi procedere indisturbato nelle proprie abitudini – quelle di prima. Nessun ipotetico programma di recupero, nessun intervento ulteriore da parte delle istituzioni, piuttosto uno sbaglio risarcibile con una sanzione (tra l’altro inutile quando non dannosa come il carcere) fine a se stessa.

«Il dramma che si è consumato oggi nel novarese – così in una nota, l’assessora piemontese alle Pari opportunità Monica Cerruti – deve spingere l’amministrazione regionale a sostenere in modo ancora più marcato la rete regionale dei centri antiviolenza, che devono diventare sempre più un punto di riferimento per le donne vittime di maltrattamento». E infatti il lavoro sui territori dei centri antiviolenza è essenziale. Del resto nell’ultimo rapporto Eures, oltre al dato delle 114 vittime nei primi 10 mesi del 2017, emerge che la metà delle uccise aveva denunciato. Inutilmente. Bisognerà dunque insistere affinché la fuoriuscita dalla violenza diventi una priorità, attraverso l’educazione sentimentale e all’affettività nelle scuole di ogni ordine e grado. E sostenendo chiunque decida di avvicinarsi a un centro antiviolenza, trovando la forza necessaria per farlo e persone che credano a quello che racconta e dice della propria esperienza dolorosa.